Giustizia

Amnistia per censo

Amnistia per censo

Attenzione a non lasciarsi sfuggire il senso di certe cronache. Recentemente il ministro delle finanze ha reintegrato in servizio un ufficiale della Guardia di Finanza, che era stato accusato di corruzione, e, per questo, aveva anche subito la carcerazione preventiva.

I pubblici ministeri della procura di Milano, che avevo arrestato ed accusato quell’ufficiale, hanno manifestato tutto il loro disappunto. E, all’apparenza, non si può che dare loro ragione : come può, infatti, tornare a fare il finanziere un signore condannato per essersi fatto corrompere da chi ha falsificato i propri conti?

Ma l’apparenza inganna, e chi sembra avere ragione, invece, ha torto. Ha torto perché è vero che quell’ufficiale della Guardia di Finanza è stato, da quei pm, accusato di corruzione; è vero che è stato arrestato; ma non è vero che sia mai stato condannato. Egli, infatti, in accordo con i medesimi pm, e con il consenso del giudice dell’udienza preliminare, ha evitato il processo accedendo ad un patteggiamento. Ha pagato, ha, cioè, trasferito delle somme presso un apposito conto corrente, e se ne è andato per la sua strada.

C’è una cosa, del resto, che non è molto facilmente comprensibile, che risulta difficile da comprendere per il normale cittadino che non si nutre di codicilli : il patteggiamento non è una condanna. Anzi, per la precisione, non è neanche un’ammissione di colpa.

E’ evidente che un cittadino che percorra questa strada, che, quindi, esca fuori da un’inchiesta su di lui aperta senza che sia stato condannato, ha tutto il diritto di essere considerato innocente. L’amministrazione presso la quale lavorava, che lo aveva sospeso in via cautelare non può e non deve fare altro che reintegrarlo.

Per tutti questi motivi, i pubblici ministeri di Milano hanno dato vita ad una comica protesta contro il loro stesso operato. Ma la cosa non finisce qui. Il fatto ha ancora due significati.

Il primo è relativo ai tanto sbandierati successi di quella stessa procura. Si è detto, e lo abbiamo letto su tutti i giornali, che molte posizioni pendenti sono state chiuse con condanne definitive (cioè inappellabili). Falso : molte posizioni pendenti sono state chiuse con i patteggiamenti, i quali, come abbiamo visto, non sono delle condanne. Le statistiche, quindi, vanno riviste, se non vogliono diventare simpaticamente divertenti come quelle di Trilussa.

Il secondo è relativo alla tonitruante opposizione ai “colpi di spugna”. Accidenti, e cos’è, se non un colpo di spugna, il fatto che cittadini presumibilmente colpevoli, talora rei confessi, possano uscire dalle inchieste senza aver subito alcuna condanna? Questo è un maxi colpo di spugna. Questa è l’amnistia gestita dai magistrati. Un mostro giuridico.

L’ufficiale cui si riferisce il fatto di cronaca, però, non è uscito indenne dal patteggiamento, ha, come abbiamo ricordato, dovuto versare dei soldi. La stessa cosa hanno dovuto fare quasi tutti i patteggianti. Ha restituito il maltolto? Neanche per sogno. Come ha egli stesso precisato, quei soldi avrebbero una provenienza del tutto lecita, ed appartenevano alla sua famiglia.

Se non avesse versato quei soldi, però, l’ufficiale (e come lui molti altri) non avrebbe potuto patteggiare : né la procura, né il gup avrebbero acconsentito. Questa ha tutta l’aria di essere un’amnistia amministrata dai magistrati e che favorisce chi ha i soldi. Un’amnistia per censo. Tanto per chiamare le cose con il loro nome.

I pubblici ministeri hanno ben poco di cui lamentarsi, dato che questa situazione è stata da loro fortemente voluta. Sono loro, infatti, in tutti i modi possibili a sollecitare l’uso del patteggiamento. Allettano l’imputato con la sostanziale impunità; chiudono, così, in fretta il procedimento; si mettono al riparo da eventuali rivalse (chi patteggia non ha il diritto di denunciare eventuali ingiustizie subite); minacciano i testoni che si ostinano a dirsi innocenti prospettando loro l’incubo di essere processati da soli, e con tutti i loro accusatori che, avendo patteggiato, si rifiuteranno di rispondere alle domande della difesa, la quale, a quel punto, sarà del tutto impotente. Così, anche l’innocente viene indotto a pagare e chiudere.

Il fatto assurdo è questo : se il patteggiante è colpevole, allora, pur essendo del tutto lecita e corretta la pratica del patteggiamento, non si vede perché il suo risultato non debba equivalere ad una condanna; se, invece, com’è possibile, il patteggiante è innocente, o, quanto meno, è innocente rispetto ai reati che gli vengono contestati, allora il suo accedere al patteggiamento, ed al pagamento, è la più clamorosa attestazione di sfiducia nella giustizia.

Ecco, quando leggete i dati relativi ai numerosi casi di patteggiamento, tenete presenti queste cose. E quando leggete delle proteste dei pm, ricordate loro che sono essi stessi gli artefici di questo capolavoro.

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