Giustizia

Anche Valentini se ne accorge

Anche Valentini se ne accorge

Negli anni bui del giustizialismo italiano il giornalismo di questo paese ha gravemente peccato di complicità, sudditanza ed asservimento ad ogni tesi d’accusa. Brani di carne sanguinolenta venivano esposti in video ed in stampa, per saziare la fame di protagonismo di non pochi magistrati e la sete di terrore di un’opinione pubblica quotidianamente aizzata. Pagina bruttissima, realtà con la quale il giornalismo italiano deve ancora fare i conti.

Giovanni Valentini adesso prende la penna e ci regala un libro inchiesta che merita di essere salutato con gioia. Il libro (Il mistero della Sapienza – Baldini & Castoldi) è dedicato alle indagini ed al processo per l’omicidio di Marta Russo, per cui sono imputati Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. Pagine dense, che hanno il merito dell’inchiesta, dell’approfondimento, di non fermarsi a tesi preconfezionate, che siano dell’accusa o della difesa.

Mi permetto di consigliarne la lettura. Anche coloro i quali hanno seguito quel processo vi troveranno particolari e punti di vista che si erano persi, dimenticati, o che non si erano mai presi in considerazione. Il libro, naturalmente, non è (non può e non deve essere) un’alternativa al processo, ma un modo per guardare dentro al processo, e dentro all’inchiesta che lo ha preceduto e preparato.

Qui voglio ricordare solo due cose: 1. oggi non abbiamo due colpevoli, ma due imputati che abbiamo il dovere di continuare a considerare innocenti fino a quando non sarà posta la parola fine all’iter processuale, manca ancora l’appello e l’eventuale vaglio della cassazione; 2. la giustizia italiana li ha tenuti in carcerazione per un tempo intollerabilmente lungo, e li ha liberati il giorno in cui sono stati condannati in primo grado : un esito ridicolo, se non fosse drammatico.

Tornando a ripetere che il libro è un prezioso strumento di conoscenza e che merita l’attenzione dei lettori, non si può non indicarne anche il limite: l’autore è reticente. La reticenza è tutta riassunta nella pagina con cui il libro si apre. Scrive Valentini che “nell’impossibilità materiale di verificare le notizie in modo autonomo e tempestivo, troppo spesso il giornalismo è costretto a fidarsi delle fonti privilegiate, cioè dei poliziotti e dei magistrati. E questo rischia a volte di creare una verità apparente, di sedimentare nell’immaginario collettivo una ricostruzione dei fatti che poi è difficile modificare e correggere”. Le reticenze sono evidentissime. Il giornalista non è “costretto” ad appiattirsi sulle tesi dell’accusa, se in questi anni abbiamo letto giornali che sembravano mattinali di polizia è solo perché il giornalismo si è messo ginocchioni di fronte al potere dilagante non dei giudici, ma degli accusatori. Ciò non è successo “a volte”, bensì quasi sempre.

Aggiunge Valentini : “Qui si tocca con mano il potere assoluto del pubblico ministero, regista e ?dominus’ delle indagini, in grado di orientarle e dirottarle in base alle proprie convinzioni. Una figura ambigua, un centauro con la toga e la divisa, per metà giudice e per l’altra metà poliziotto. Seppure in buona fede, l’inquirente può trasformarsi così in inquisitore, fuori da un confronto reale con gli altri gradi di giudizio, calpestando i diritti dell’imputato e della difesa”. Sfugge, in verità, come possa un pubblico ministero trasformarsi “in buona fede” da inquirente in inquisitore, sfugge perché per realizzare una simile trasformazione occorre violare le leggi. Il buon giornalismo deve ancora iniziare ad indagare su quanto estesa possa essere stata quella inutile “buona fede”.

Così come deve ancora iniziare l’analisi schietta e sincera del ruolo del giudice delle indagini preliminari e del Tribunale della libertà, così bene messe in luce da Valentini in questo caso. Caso che non solo non è isolato, ma, purtroppo, assolutamente normale. Quei giudici, lo scriviamo da anni, hanno largamente fallito la missione per cui furono creati. Occorre prenderne atto.

Forse Valentini non è riuscito ad andare fino in fondo perché trattenuto dalla sua esperienza personale, dal ruolo svolto negli anni del giustizialismo imperante. E’, però, un primo passo. Salutiamolo con fiducia e speriamo che seguano gli altri.

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