Giustizia

Ancora un 18 aprile

Ancora un 18 aprile

Il prossimo 18 aprile (ed il 18 aprile è una data significativa e ricorrente, nella storia italiana) un certo numero di magistrati si riuniranno per manifestare il loro dissenso. Il dissenso da che?

Non è del tutto chiaro, dato che sembrerebbe essere indirizzato contro una delle ipotesi di lavoro della Commissione Bicamerale, incaricata delle riforme istituzionali. Nella sostanza, comunque, essi manifestano il loro dissenso nei confronti dell’idea che la carriera dei magistrati dell’accusa, i pubblici ministeri, sia separata dalla carriera dei giudici, ovvero di coloro che sono incaricati di emettere sentenze.

La separazione delle carriere è un dato ricorrente, dominante e qualificante in tutto il mondo civile. I magistrati italiani la considerano un pericolo (essi dicono, con disprezzo, che non vogliono trasformarsi in super polizziotti; il loro disprezzo aumenta o diminusce se si ricorda loro che questo era esattamente l’auspicio di Giovanni Falcone, che era favorevolissimo alla divisione delle carriere?). Ma non è questo il punto sul quale è necessario riflettere. Il punto è un altro, ancora più delicato e determinante : possono, i magistrati, esprimere pubblicamente ed unitariamente il loro dissenso su una proposta parlamentare? Credo proprio di no, e credo che la manifestazione del 18 aprile sia molto, ma molto pericolosa.

Già sento ripetere le solite banalità : i magistrati sono cittadini come gli altri e, quindi, al di fuori delle loro attività istituzionali, possono ben dire quel che pensano. Sarebbe ingiusto volere mettere loro il bavaglio. Bene, e chi dice il contrario?

Semmai vorrei obiettare che non sono proprio cittadini uguali agli altri, sono, semmai, orwellianamente, i più uguali. Difatti essi esprimono giudizi ed opinioni sulle più svariate materie, trovando un sistema dell’informazione pronto e prono a raccoglierne ogni sospiro. Questo avviene, credo, non perché le loro opinioni (rispettabilissime) siano particolarmente più acute ed intriganti di quelle espresse da altri cittadini, ma perché loro, i magistrati, sono persone famose e conosciute (con e senza cavallo). E la fama se la sono conquistata esercitando le loro funzioni istituzionali (bene o male, qui non importa). Quindi, non v’è chi non veda che il legame fra attività istituzionale e attività di pensatori, prosatori ed opinionisti è strettino.

Ma, ancora una volta, non è questo il punto. Sono famosi, sono ossequiati e riverti, sono pluri intervistati, girano per convegni, e che buon pro gli faccia. Speriamo che non sia questa iperattività pubblica una delle cause dell’esasperante lentezza della giustizia italiana. Speriamo che non ci vogliano far credere che lavorano anche la notte, come quel Tizio che, a piazza Venezia, non spegneva mai la luce.

Che parlino, dunque, come singoli cittadini, resi famosi dal mestiere. Ma non è questo che faranno, il prossimo 18 aprile. Il prossimo 18 aprile parleranno come categoria, come insieme di persone che la rozza ignoranza dei media denomina “giudici”. E parleranno, in quell’occasione, per disapprovare una proposta all’attenzione del Parlamento. Ecco, questo non è consentito.

Quello che essi faranno somiglia, semmai, ad un comportamento previsto dall’articolo 49 della Costituzione : “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Somiglia, ma non è.

Somiglia, perché essi si stanno comportando come un partito politico. Non è, perché i partiti politici non possono chiudersi in rappresentanze di categoria. Il 18 aprile, per esempio, se vado e chiedo di parlare, mi fanno parlare? No, perché non sono un magistrato.

Allora sarà bene che qualcuno comunichi, in via ufficiale, agli illustri convenuti, che la Camera dei Fasci e delle Corporazioni è stata chiusa, da tempo. E che per quanto loro si affatichino, non riaprirà i battenti.

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