Giustizia

Avvocati, di se stessi

Avvocati, di se stessi

Il corporativismo togato dilaga fra i magistrati, ma anche gli avvocati non scherzano. Non si può riformare la giustizia seguendo i pronunciamenti dei primi, ma anche le parole dei secondi non portano lontano. Il dato sconfortante è che quando i penalisti si riuniscono a convegno, per parlare del processo, espongono tesi in larga parte condivisibili, tutte proiettate a farlo funzionare ed a difendere gli interessi dei cittadini, ma non appena si riuniscono gli organismi unitari, prendendo a parlare della professione forense, la musica cambia, e suona gradevole solo alle loro orecchie.
Noi italiani spendiamo per la giustizia, pro capite, quanto e più degli altri cittadini europei, avendo un numero di magistrati superiore alla media europea. Anche gli avvocati sono tanti: 230 mila. Il tutto, messo assieme, e ciascuno per quel che gli compete, ci restituisce la peggiore giustizia d’Europa. Gli avvocati, naturalmente, non hanno alcuna responsabilità nell’amministrazione della giustizia, ma ne hanno nella dequalificazione della professione. Riuniti in assemblea non lesinano applausi a quanti ricordano che sono troppi, ma credo lo facciano solo perché non ne vogliono altri. Non è pericoloso il numero, invece, ma l’assenza di un mercato realmente aperto alla concorrenza, non trasparente, non premiante il merito. Le cose che gli avvocati chiedono, ed è questo il punto, servono a conservare il peggio.
Dice Maurizio De Tilla, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, che, finalmente, dopo settanta anni, gli avvocati si sono messi d’accordo su alcuni punti. Evviva. Quali sono? Cito: “l’inderogabilità dei minimi tariffari, il divieto di patto quota-lite, l’esclusività della consulenza legale”. E’ roba pessima, farebbero meglio a riprendere le liti. I minimi tariffari servo a fregare i giovani di talento, imponendo loro di non patrocinare a favore di cause difficili, con soggetti poveri, ma con una posta molto alta. Mentre il divieto di partecipare del successo (patto di quota-lite), vale a dire di concordare un pagamento assai consistente in caso di vittoria ed uno magari simbolico in caso di sconfitta, serve ad evitare che quegli stessi giovani superino gli affermati maestri troppo in fretta. Dicono gli avvocati, invece, che i minimi tariffari servono a tutelare i deboli ed i divieti di patti a tutelare l’onore della categoria. Ma non prendiamoci in giro: i giovani lavorano per anni, gratis e facendo i portaborse, senza alcuna tutela, mentre i grandi studi patteggiano eccome i compensi extra, lucrosissimi, sotto forma di consulenze ed altri incarichi.
Sulle consulenze l’avvocatura vuole l’esclusiva, bloccando il lavoro di persone competenti quanto e più di loro, ma assunte dalle aziende e, pertanto, non più avvocati. Robetta protezionista, insomma.
Dice Guido Alpa, presidente del Consiglio Nazionale Forense, che nelle proposte degli avvocati “non ci sono solo privilegi, piuttosto alcuni sacrifici. Per esempio l’obbligo di un’assicurazione a copertura degli errori professionali, un accesso più difficile e selettivo, un più stringente obbligo di aggiornamento professionale”. E quale sarebbe, il sacrificio? Non ne vedo neanche uno: l’assicurazione è un’opportunità, la selettività (sempre benemerita) qui serve a proteggere i numerosissimi già entrati nell’albo, in quanto all’aggiornamento professionale, che qualcuno lo consideri un “sacrificio” la dice talmente lunga da essere imbarazzante.
Non ci siamo proprio. La maggioranza parlamentare ed il governo, che sono andati a prendere applausi, devono stare assai attenti. Prima di tutto perché, a confronto di quel che oggi si sente dire, le riformine varate da Pierluigi Bersani, quando era ministro, sembrano una rivoluzione liberale. Secondo, perché il compito della politica è quello di ascoltare tutti e non seguire nessuno. Terzo, perché se si cede all’idea che l’avvocatura possa “autoriformarsi” non si vede come si possa sostenere, come io sostengo, che l’idea stessa di un’autoriforma della magistratura, sostenuta dall’Associazione Nazionale Magistrati, è eversiva dell’ordinamento democratico.
Qualcuno ricordi che il corporativismo non porta mai nulla di buono, e che due corporativismi contrapposti servono solo a riconoscere due torti. Qualcuno, inoltre, provi a ricordarsi che la giustizia non la si riforma al servizio né dei magistrati, né degli avvocati e neanche dei cancellieri, ma dei cittadini.

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