Giustizia

Ayala torna in toga

Ayala torna in toga

Giuseppe Ayala è stato per lunghi anni magistrato del pubblico ministero, a Palermo. Poi è stato, per altri lunghi anni, parlamentare della Repubblica, prima eletto nelle liste del partito repubblicano, poi della sinistra, variamente nominata. Ora non è più parlamentare, quindi rientra nei ranghi, riveste la toga e siede in corte d’appello.

Egli stesso, con serietà, manifesta il suo disagio: come può chi è stato uomo di parte andare a fare il giudice? Non conoscendolo come ingenuo credo anche che non sia senza significato che abbia voluto aggiungere un di più, affermando che da un “governo amico” si sarebbe aspettato un trattamento diverso, ma “nessuno ha pensato a me”. Uno stato d’animo che sarebbe fantasioso definire sereno.

Il disagio di Ayala è più che giustificato, e ci offre l’occasione per ripetere che chi è stato eletto, ma anche solo chi si è candidato, se era magistrato non può poi tornare ad esserlo. La magistratura è una carriera protetta, ricca e sicura, che chiede in cambio quel che davvero pochi offrono: distanza dalle contese politiche e dal giuoco degli interessi. Molti magistrati non sono all’altezza della funzione, ma chi è stato parlamentare porta con sé la certificazione dell’impossibile imparzialità. Si dirà: ma in questo modo s’impedisce ai magistrati di candidarsi al Parlamento. E perché? Si candidino pure, ma non tornino indietro. A me che sono un libero professionista chi assicura che, una volta eletto e poi non più rieletto, possa tornare ad avere i clienti ed il reddito di prima? Nessuno, né a nessuno posso chiederlo, né avrebbe senso chiederlo. Perché mai i magistrati (come anche altre categorie) devono essere più protetti di me?

In Italia sono davvero tanti, davvero troppi quelli che credo sia la collettività a dover provvedere ai loro bisogni e, visti i redditi e gli emolumenti, anche ai loro vizi. Ma è una visione infantile e folle della vita: ciascuno risponde di quel che fa e paga per le proprie scelte. Io non voglio farmi né inquisire né giudicare da un avversario politico, né da un amico politico, e non voglio nemmeno mantenerlo a vita, per il solo fatto di averlo lautamente retribuito per una o più legislature. Lo dico per me, per le mie tasche, ed anche per la sua dignità, ove non sia stata schiacciata dal portafogli.

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