Lo scandalo per quel che ha fatto Balduccio Di Maggio, il pentito che è tornato ad uccidere, mi pare esagerato e fuor di luogo. Né penso che il delitto commesso tolga credibilità alle cose che aveva precedentemente dichiarato. Nello scomposto vociare di questi giorni, cui si è inopinatamente unita anche la procura di Palermo, si mescolano non pochi fraintendimenti.
Mettiamo un poco d’ordine. Nessuno può seriamente affermare che i collaboratori di giustizia non siano stati utili nella lotta contro la mafia. Sono stati utilissimi. La loro utilità, però, dà valore alle cose che dicono, non alle loro persone. Pertanto un assassino rimane un assassino, un essere spregevole rimane un essere spregevole, eppure le cose che questi individui dicono possono essere utili, e, quindi, diviene, anche moralmente, lecito dare a questi criminali dei premi.
C’è un equivoco, però, ed un errore. L’equivoco nasce dall’avere chiamato “pentiti” questi soggetti. In tutto questo il pentimento non c’entra niente. Ma pensate veramente che un uomo come Brusca, che strangola contro il muro un bambino, sia moralmente in grado di pentirsi di qualche cosa? Questi sono solo criminali (Buscetta compreso) che hanno fatto una valutazione di convenienza, e lo Stato, con giusto cinismo, per propria prevalente convenienza, accetta di trattare con loro. L’errore, però, sta nel fatto che a questi criminali, in Italia, la vita viene resa un po’ troppo facile : si esce di galera troppo in fretta, e non vi è la seria minaccia di tornarci.
Io Stato faccio un patto con te, che sei un criminale della peggiore specie. Tu parli, io ti proteggo. Ma prova a dirmi una fesseria, prova a tacermi una cosa che sai e la porta della tua cella non si aprirà mai più. Mai più. In Italia, invece, a questi criminali è concesso di tutto, pure di dire le panzane più inverosimili, e continuano ad essere coccolati a spese della collettività.
Il caso di Balduccio Di Maggio, quindi, non deve scandalizzare : assassino era, ed assassino è rimasto. Se ne torni in galera. Né, quel che è accaduto, toglie credibilità alle cose che ha detto, perché anche quando le diceva noi tutti ben sapevamo di avere a che fare con un criminale e non con un chierichetto. Il problema della credibilità, allora, esiste sempre, ed è necessario notare che proprio nel caso di Di Maggio, come di tanti altri, non si è fatto abbastanza per essere sicuri di non essere presi per i fondelli.
Insomma, è il vasto tema dei riscontri oggettivi. Se non vi sono prove che confermino quel che il collaborante dice, allora non si può non tenere in debito conto il fatto che il collaborante è prima di tutto un criminale, pertanto non particolarmente degno di fede.
Vorrei sottolineare, infine, quanto improvvide siano state le parole di Guido Lo Forte, pubblico ministero presso la procura di Palermo, collaboratore di Giancarlo Caselli. Lo Forte ha dovuto prendere atto che Balduccio Di Maggio, sulle cui dichiarazioni si reggono gran parte delle tesi sostenute dallo stesso Lo Forte, è tornato ad essere un assassino. E, come se non bastasse, è tornato ad esserlo con la copertura di Gino La Barbera e Santino Di Matteo, anche loro collaboratori di giustizia, anche loro considerati credibili da Lo Forte. Ebbene, il sostituto procuratore, ribadendo (come credo sia giusto) che quel che è successo non toglie valore alle dichiarazioni rese, ha aggiunto che la mafia si sta riorganizzato, sotto la guida di una mente finissima (e nessuno ha mai pensato, che io sappia, che la mafia sia stata o sia diretta da babbei). Ed ha aggiunto : “Di Maggio -nel commettere l’omicidio- è stato solo uno strumento inconsapevole”.
Faccia attenzione, il dottor Lo Forte, perché quel che sostiene non solo è grave, ma è una terribile arma a doppio taglio. Già, perché se Di Maggio è solo una bestia cretina facilmente strumentalizzabile, quante volte, e da chi è stata strumentalizzata?