Giustizia

Bilancio negativo

Bilancio negativo

Chi, da oggi, commetta il reato di falso in bilancio potrà, domani, invocare come attenuante l’avere letto, su tutti i giornali, ed avere ascoltato, da tutti i telegiornali, la colossale balla secondo la quale in Italia quel reato non esisterebbe più. Il giustizialismo italico mantiene la sua natura fascistoide smarrendo, però, il senso del ridicolo.

Fino al 2001 falsificare un bilancio significava commettere un “reato di rischio”, vale a dire che la condotta era perseguita d’ufficio, a prescindere dall’entità e caratteristica del falso (elementi che, naturalmente, erano poi presi in considerazione dal giudizio). Dopo la riforma del 2001 il falso in bilancio diventa un “reato di danno”, è penalmente rilevante, ed è punito con una pena ridotta ad un massimo di un anno e sei mesi se non si è recato danno patrimoniale ai soci o ai creditori. La pena aumenta all’aumentare del danno e, se si tratta di una società quotata in Borsa (che, quindi, raccoglie risparmio privato) resta immutata la procedibilità d’ufficio e la pena massima giunge a quattro anni.

Le cose che dice Violante, quindi, il parallelo fra il Berlusconi assolto per All Iberian ed i risparmiatori danneggiati da Cirio e Parmalat, è solo demagogia per poveri di spirito e di mente. Il richiamo alle più severe leggi varate negli Usa dopo gl’imbrogli che danneggiarono i risparmiatori c’entra un fico secco, perché quelle sono norme destinate a tutelare il mercato, ed a farlo in modo veloce, mentre da noi il reato di falso in bilancio resta prescrivibile in sette anni e mezzo, una misura di tempo allo scoccare della quale non solo è morto il babbo, ma pure i discendenti.

La polemica politica è una cosa sana e bella se alimentata dal confronto d’idee, altrimenti diventa uno sbertucciamento fra dementi che sperano il pubblico sia così beota da bersi silente tutte le balle in bilancio che vengono dette.

E veniamo alla riforma del 2001, la cui legittimità è fuori discussione. E’ legittima perché votata da un libero Parlamento democratico, eletto con democratiche elezioni. E’ legittima perché la procura di Milano già ha fatto ricorso a giurisdizioni superiori, perdendo tempo e sentendosi dare torto. Ma la legittimità è una cosa, il giudizio politico altra. Ed è qui che la maggioranza è in fallo: la riforma del falso in bilancio data 2001, la riforma del diritto societario e fallimentare ancora attende d’essere realtà. E non è tutto: si è fatta la riforma dell’ordinamento giudiziario (camomilla), ma è rimasto non riformato il mondo penale e la sua procedura; si tenta ancora una riforma sui termini di prescrizione, ma resta immutata la piaga puteolente dei tempi incivili per concludere un processo; si è inserita nella Costituzione una citazione della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo (il primo comma dell’articolo sei, solo quello), ma per far valere i propri diritti un cittadino deve sobbarcarsi altri anni di vicende processuali e parcelle degli avvocati.

Potrei continuare per ore, ma la morale è questa: la polemica sulle leggi fatte per favorire questo o quello è figlia dell’incultura giuridica di quanti, nella maggioranza e nell’opposizione, non riescono a ragionar di diritto, ma solo d’imputati, mentre il vero problema non sono le cose che si son fatte, bensì quelle che non si sono fatte. Il bilancio, in tema di giustizia, è negativo perché non si è riusciti a fare l’unica cosa socialmente utile: mettere ordine nel mondo della giustizia, sconfiggendo i corporativismi che l’asfissiano e risanando una spesa altissima, con ritorni bassissimi. Di questo, certo, non s’accorgeranno quanti credono sia giusto e produttivo rotolarsi nel trogolo di All Iberian.

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