Falcone e Borsellino, prima d’essere ammazzati, erano stati isolati. Ad isolarli, ad imbozzolarli nell’impotenza o negar loro i necessari poteri è stata la magistratura, utilizzando in Consiglio Superiore. Furono necessarie coperture politiche, naturalmente, fornite da Magistratura Democratica e dal Partito
Comunista, per il tramite di Elena Paciotti e Luciano Violante. A gioirne furono in molti, nel mondo che naviga nella continuità fra gli affari e la politica, che nella lotta contro la mafia vede solo il fastidio subito da chi viola le leggi e nasconde il denaro illecito, quando non s’avvale direttamente della protezione criminale. Un mondo che non ha confini politici, perché conosce solo la legge della malaricchezza. Dato questo scenario, si dovrebbero abolire le ricorrenze, affinché gli ammazzati non siano anche diffamati.
L’anniversario della strage di via D’Alelio, quest’anno, si festeggia usando le parole di Riina: “Lo hanno ucciso loro”. Loro chi? Ma è ovvio: i servizi, che sono “deviati”, gli stragisti, che sono “di Stato”, il tutto alla ricerca di una verità che è “inconfessabile”. Per dare un tocco horror alle balle odierne è pure spuntato fuori un agente segreto con la faccia mostruosa e sfregiata, che, in quelle condizioni, sarebbe dovuto passare inosservato e solo adesso se ne percepisce l’esistenza. Roba da matti. Come il pendere dalla labbra di una bestia disonorata, come Riina.
Prima che la falsificazione inquini la memoria, teniamo dei punti fermi. La strategia stragista, con cui i corleonesi accompagnarono gli anni dell’inchiesta Mani Pulite, non era certo finalizzata a spaventare per bloccare quei procedimenti. Avvenne l’esatto contrario, e l’assassinio di Falcone servì a portare Scalfaro al Quirinale, poi complice del giustizialismo imperante, salvo salvare se stesso. La sterilizzazione di Falcone e Borsellino servì anche ad istruire i processi politici, per condurre i quali si doveva evitare che deponesse Tano Badalamenti e, quindi, che venisse in Italia. Per impedirlo fu Orlando Cascio ad infamare il carabiniere Lombardo, che, minacciato dalla mafia, fu indotto al suicidio. A denunciare questi fatti fu il carabiniere Canale, che Borsellino chiamava fratello, che fu accusato di mafia e che attende ancora il deposito della sua definitiva assoluzione.
Non voglio dimostrare nulla, non qui e non così in breve. Intendo dire che certe ricostruzioni di comodo, certe induzioni al luogocomunismo, sono vergognose, e che le continiguità politiche vanno non cercate, ma riconosciute in molti che si sgolano a commemorare. Almeno risparmino l’infamia di corrompere la memoria nel ricordare chi è morto per la giustizia.