Giustizia

Cambiano i venti

Cambiano i venti

Non credo sia, ancora una volta, il caso di commentare la recente adunanza di alcuni magistrati, e la loro pretesa di dettare legge al Parlamento. Mi hanno insegnato, quando ero piccolo, che il paese in cui la politica è dominata dai militari è un paese autoritario ed antidemocratico.

Fascista, si diceva una volta. Non diverso sarebbe un paese in cui la politica della giustizia fosse dominata dai magistrati. Del resto, sulle colonne di questo stesso giornale, ho già argomentato che la recente adunanza trova la sua matrice ideale e storica nella Camera dei Fasci e delle Corporazioni. Mi pare che basti.

Segnalo, invece, un diverso argomento sul quale riflettere. Un argomento solo strumentalmente connesso alle manifestazioni del 18 e 19 aprile : l’atteggiamento della grande stampa d’opinione. Non è difficile accorgersi, infatti, che l’atteggiamento dei quotidiani più diffusi è radicalmente mutato.

Ieri erano pronti a pubblicare qualsiasi scarto di procura, qualsiasi verbale, qualsiasi elemento accusatorio. E, sempre ieri, mai e poi mai avrebbero dato la parola agli “inquisiti”, a quella razza di untori che avevano, evidentemente, perso qualsiasi diritto civile. Erano, quelli, i tempi in cui un sospiro di Borrelli, od il pelo lungo della barba di Di Pietro, erano elementi sufficienti ad invocare il rispetto del loro lavoro in difesa della giustizia (se non proprio della libertà).

Oggi, invece, mentre Borrelli continua a dire le stesse identiche cose di ieri, gli si dà addosso, ci si accorge che, forse, quelle sue parole non sono proprio in linea con il rispetto della legge. Di più, si afferma, a chiare lettere, che si tratta di “pronunciamientos”, così evocando proprio le dittature militari di stampo sudamericano, quelle dei desaparecidos, o le dittature più recenti nel continente europeo, quelle che uccidevano con la garrotta.

Come cambiamento di rotta, non c’è male. (Noi, garantisti da sempre e fino in fondo, a tanto non giungemmo e non giungiamo, ma, questa è l’eterna storia degli accodati e dei subordinati : ieri fascisti, oggi super antifascisti, ciechi financo sui meriti del regime; ieri comunisti, oggi super anticomunisti; ieri preti, oggi con la pretesa di imporre l’anticlericalismo a noi laici).

Ma cos’è cambiato, nella realtà, oltre alla rotta dei grandi quotidiani? Nella realtà, si raccolgono i frutti del fallimento di Cernobbio. Mi spiego.

A Cernobbio si tentò il grande inciucio, fra magistratura ed industriali. Era, quello, il frutto di una prassi già consolidata in certe procure, e segnatamente in quella di Milano, che, non a caso, con l’eccezione di D’Ambrosio, era la grande officiante dell’inciucio (chi non ricorda la kioisei, ed altre simili scempiaggini?). Tale prassi prevedeva che i più potenti industriali d’Italia, possessori di tutti i mezzi di comunicazione, si dichiarassero vittime del ricatto esercitato da questo o quel politico, depositassero un memoriale in tal senso, e se ne tornassero a godere i frutti del duro lavoro. Era, com’è evidente, una tesi sommamente ridicola.

Non era evidente, invece, che l’inciucio fallisse. Anzi, tutta la posta veniva puntata su quel cavallo. Le cose, com’è noto, sono andate diversamente. Perché? I perché sono diversi, e la loro analisi richiederebbe più spazio. Ma uno li sovrasta tutti : la magistratura non è un corpo unitario, ma composito, ed è capitato che anche altre procure volessero avere il potere e la rilevanza di quella milanese, così ne adottarono i sistemi e le pretese. Sarebbe bastato questo per far saltare l’inciucio. Il tentativo di dire che, in Italia, tutte le colpe erano della politica, mentre immacolate erano le anime degli industriali, fallì.

Nacquero i convegni di Liberal , e la non casuale presenza, in essi, di Cesare Romiti. La stampa in mano a quei proprietari cominciò a cambiare rotta, pur non smettendo di creare difficoltà per chi, in sede politica (ovvero l’unica sede democraticamente propria), continuava a battersi perché il potere dei magistrati tornasse ad essere compatibile con il dettato costituzionale, oltre che con la ragionevolezza.

Fu l’epoca in cui all’onorevole Veltroni era permesso proporre un “tavolo comune”, con industriali, avvocati e magistrati, per affrontare l’emergenza giustizia. Tesi incredibilmente lontana da ogni coerenza e compatibilità democratica. Cosa che, allora, si volle tacere ed occultare, speranzosi (i ciechi) che portasse ad una qualche “soluzione politica” di tangentopoli.

A Cesare Romiti è toccato, certo involontariamente, di far da simbolo : così la sua condanna, non a caso a Torino, non certo a Milano, segna la fine dell’equivoco di Cernobbio : la magistratura non è un esercito agli ordini di un comandante, non si possono, dunque, firmare armistizi unilaterali; semmai, per rimanere nel settore militare, si tratta di commandos agli ordini di tanti comandanti, ciascuno dei quali spera di essere il generalissimo. Pertanto, se ci si inciucia con uno, gli altri ti saltano addosso.

Tutto questo era prevedibile, ed infatti era stato da noi previsto, e scritto. Adesso, però, non c’è nulla da prevedere, le cose stanno sotto gli occhi di tutti, anche di chi volle essere cieco.

Francesco Saverio Borrelli è un uomo di mondo, non se ne stupisce e non se ne indigna. Chissà, forse, semmai, si rammarica di non avere colpito quei proprietari di giornali, e nel modo a lui consono, quando ancora ne aveva tutto il potere, quando, invece, scelse di colpire un potere meno solido e meno solidale (com’è giusto che sia) al suo interno, la politica. Adesso, invece, gli è rimasta solo l’arma della minaccia. Segno di debolezza. Gli altri se ne sono accorti, e ne traggono le conseguenze del caso. Ivi compreso il coraggiosissimo ministro di grazia e giustizia, e la nobilissima associazione nazionale magistrati, con in testa la sua presidentessa (colei la quale, con il suo voto, contribuì a spegnere il sogno di Giovanni Falcone).

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