Giustizia

Cancellare la Severino

Cancellare la Severino

La legge Severino andrebbe abrogata in fretta. E con vergogna. Non si dovrebbe lasciare il compito alla Corte costituzionale, ma farlo in Parlamento. Ad opera dello stesso schieramento, destra e sinistra comprese, che festante e scimunito la votò. Noi lo scrivemmo allora, che era uno sputo in un occhio del diritto. Ma, dopo il caso di Vincenzo De Luca, lasciare vigente quella norma somiglia a una minzione sui pochi fiori della ragionevolezza.

Il succo della legge Severino è semplice: dovrà essere sospeso il pubblico amministratore che venga condannato in primo grado, rimanendo immutate le sue garanzie costituzionali, quindi dovendo comunque considerarlo innocente, a tutela dell’interesse collettivo è bene allontanarlo dalla sua funzione. Corollario: se un candidato a diventare pubblico amministratore già si trova in quella condizione, sicché dovrà essere sospeso dopo essere stato eletto, è ovvio che non deve candidarsi. Tale succo è apparentemente logico, invece è una porcheria. Se il soggetto è da considerarsi innocente, se la sentenza di primo grado non ha alcun valore esecutivo, che senso ha renderla forzosamente esecutiva? Se lo si fa, non si vanifica la garanzia costituzionale? La scusa del bene collettivo non regge, perché è la collettività ad avere scelto quell’amministratore, sicché sospenderlo da innocente somiglia all’esatto contrario: un danno alla collettività.

La forza della Severino era una sola: proporsi di allontanare dalle cariche elettive i potenzialmente delinquenti. Ma tale forza era non il trionfo, bensì la disfatta della giustizia, dato che se un cittadino è delinquente deve stabilirlo una sentenza definitiva. Ma l’allora ministro della giustizia, a imperitura dimostrazione che essere buoni avvocati non è manco parente d’essere mediocri ministri, pensò fosse più facile sospendere i condannati in primo grado che assicurare tempi ragionevoli per il giudizio definitivo.

In virtù di quella norma caddero le teste di alcuni amministratori locali, i cui nomi scomparvero dalle cronache, e rotolò quella del parlamentare Berlusconi Silvio. A protestare contro tale provvedimento furono una parte degli stessi parlamentari che avevano votato la Severino, a conferma che gli incapaci fanno più danni delle locuste. Poi arrivarono i casi del sindaco di Napoli e del governatore della Campania. Una coincidenza territoriale. Forse. Sta di fatto che, in condizioni diverse, i due presentarono ricorso avverso la sospensione, vincendo. Ora è arrivata la sentenza di secondo grado, che assolve il De Luca che a suo tempo si candidò (e dal Pd fu candidato) essendo già condannato in primo grado. Congratulazioni, ma ora si cancelli quella legge incredibile.

Intanto perché, nel mondo del diritto, la posizione di De Luca non è cambiata di un capello: presunto innocente era e presunto innocente resta. L’assoluzione in secondo grado potrebbe (lo dico scolasticamente, vale per chiunque) essere ribaltata in Cassazione. Come la condanna di primo è stata ribaltata in secondo. In ogni caso, la Severino è carta straccia, perché se arriva in coda non serve a un accidente, visto che il diritto già prevede l’interdizione dai pubblici uffici, come la perdita dei diritti elettorali. Ma c’è di più: dopo il caso De Luca nessun amministratore colpito da sospensione potrebbe evitare di fare ricorso, perché sarebbe come ammettere d’essere colpevole. Se proprio non glielo suggerisce il suo carattere, magari arrendevole, glielo farà fare il suo avvocato.

Anche questa pagina di cecità legislativa si chiude. Anche questa in un modo inglorioso, che sconfina nel ridicolo. Averla preventivamente descritta per quel che era non consola affatto. Inconsolabile è il dolore per la scomparsa della cultura del diritto.

Pubblicato da Libero

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