Già all’epoca in cui la Corte di Cassazione si pronunciò su un caso di violenza carnale, ragionando sui jeans attillati indossati dalla vittime, ci fu un gran vociare di chi aveva capito poco e nulla. I giornali scrissero che secondo la Cassazione le donne in jeans potevano essere liberamente violentate, alcune parlamentari si presentarono vestite con quell’indumento, ponendosi coraggiosamente a rischio innanzi alle telecamere.
Naturalmente la Cassazione non aveva sostenuto nulla di neanche lontanamente simile.
Occorre ricordare che le sentenze non sono scritte per descrivere o condannare fenomeni e costumi, bensì solo per giudicare un caso specifico. Se il caso specifico non lo si conosce, è ovvio che della sentenza non si capisce niente. La Cassazione, inoltre, è il presidio dell’uniformità del diritto, è un giudice dei giudici, che accerta l’eguale applicazione delle leggi. Nelle sentenze di Cassazione si prende sempre in esame il caso specifico, ma talora sono presenti delle “massime”, ovvero dei principi che si intendono far valere in quel caso, ed in tutti i casi simili. Sia per i jeans che per la verginità non ci sono massime, nelle sentenze.
Allora, per i jeans, la questione era rilevante per accertare la credibilità della vittima, che aveva descritto in maniera apparentemente illogica la dinamica dei fatti. Se il violentatore l’avesse costretta a togliere i jeans stretti, questo non avrebbe certo diminuito la violenza dell’atto, ma se questo si dice non si avvenuto, se si racconta che, sul ciglio della strada, glieli aveva calati a forza a mezza gamba, per poi abusare di lei, la faccenda assume un contorno piuttosto incredibile, e questo fece notare la Cassazione. Nessuna licenza alla violenza, quindi.
Nel caso della ragazza quattordicenne, di cui abusò il compagno della madre, la sentenza non dice affatto che la sua precedentemente perduta verginità sia un’attenuante, ma evidenzia l’illogicità della sentenza di condanna, nella quale la pena era stata determinata supponendo circostanze di fatto diverse dalla realtà. Il che attiene, appunto, alla motivazione, non alla necessità di condannare.
Per intenderci: è reato violentare una prostituta, e l’attività svolta dalla donna non autorizza nessuno a violare la di lei volontà, ma se, nel condannare (giustamente) il violentatore, il tribunale scrive che con la violenza si è infranto il voto di castità fatto dalla vittima, scrive una cosa illogica, che la Cassazione boccerà. E, lo ripeto, la boccerà nel caso specifico, senza trarne massime che abbiano valore generale.
Sempre nel caso specifico, la Cassazione non ha annullato la condanna e mandato libero il criminale, ma ha chiesto alla Corte d’Appello di rifare la sentenza, il che significa che l’imputato sarà nuovamente condannato. Spero, ma questa è solo un’opinione personale, a più dura pena, perché ho appreso dai giornali che il patrigno lamenta il fatto che della ragazza avevano abusato, e ripetutamente, anche altri. Il che significa che lui era rimasto inerte innanzi all’uso di violentare una minorenne e questa aggravante vale assai più del perduto imene.