Fra le cose più utili per comprendere la natura del regime fascista vi sono i cinegiornali dell’Istituto Luce.
Certo, il filmato del Duce a petto nudo che miete il grano, frutto sudato dell’italico suolo, e maschiamente si rivolge ai “colleghi” contadini, era stato preparato a scopo meramente propagandistico, ma, appunto, nella propaganda troviamo un’indizio importante dell’identità intima di un regime. In tal senso è assai utile il ritratto che Marcella Andreoli dedica a Francesco Saverio Borrelli (“Borrelli” – Baldini & Castoldi). Leggetelo, ne vale la pena.
Il Borrelli che qui trovate descritto è davvero grande, non meno che umano, non meno che saggio. “Come mi piacerebbe essere un così grand’uomo”, talora pensa il lettore. Il fatto che il papà ed il nonno siano stati anch’essi magistrati ci fa gustare una nobile tradizione familiare, e nessuno può essere così insensibile da leggervi l’ereditarietà delle funzioni pubbliche, od il nepotismo.
Il lettore trarrà beneficio dal testo anche perché, qualora non appartenga alla schiera di quanti si sono spellati le mani applaudendo Di Pietro a bordo di una Mercedes, scoprirà con gusto che Borrelli, il suo capo di allora, pensa di Di Pietro (con educazione, naturalmente, con freddezza, come si conviene ad un essere superiore) tutto il peggio possibile.
Ma l’utilità del cinegiornale encomiastico diventa innocentemente decisiva a proposito di uno scontro fra l’illustre protagonista ed il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, la dottoressa Elena Paciotti. Accipicchia se la cosa è interessante !
Siamo nel 1993, Mani Pulite è al massimo dello splendore. Nelle indagini finisce Diego Curtò, magistrato milanese. La carriera di quest’ultimo sarebbe stata in qualche modo favorita dal più importante magistrato di Milano, Piero Pajardi. Un terremoto. La corrente di Magistratura Democratica, di cui Borrelli è uno dei fondatori (ma poi ne uscì), e di cui la Paciotti è uno degli esponenti, spara a zero contro la coppia Pajardi-Curtò.
Pajardi non ci pensa nemmeno a soccombere tacendo e, tra le altre cose, comunica alla stampa che assai di recente a raccomandargli Curtò era stato niente popò di meno che Borrelli. Il quale Borrelli, signorilmente, tace. Quando, infine, ritiene giunto il momento di parlare afferma che forse si è commesso un errore collettivo a non vigilare abbastanza, talché talune mele marce si sono infilate anche nel luccicante paniere della magistratura; detto questo, aggiunge comunque che egli disapprova completamente i giudizi ed il comportamento di Magistratura Democratica, comportamento che bolla di “infamia”.
La Paciotti gli scrive e gli dice di andare a quel paese. Ma chi ti credi di essere? pensi di avere sempre ragione? Non ti accorgi che stai approfittando del potere che ti deriva dall’essere il capo del pool Mani Pulite per fare il bello ed il cattivo tempo? E questo è, a giudizio della Paciotti (per una volta da noi condiviso), intollerabile.
Ecco, queste sono pagine mirabili. Perché se si va a riprendere la rassegna stampa, se si vanno a leggere le dichiarazioni della Paciotti, di questi toni e di questa chiarezza non si trova traccia. E, difatti, questa è la lezione : il delirio corporativo di un potere organizzato con logica politica faceva e fa sì che certe cose potessero essere scritte solo all’interno, mentre all’esterno la facciata unitaria doveva essere sempre salvaguardata. Teoria, questa, più volte ribadita dall’impareggiabile procuratore capo, anzitempo trasformatosi nel monumento di se stesso, a cavallo. Non solo si tratta del principio del centralismo democratico, ma si tratta anche della violazione dell’idea per cui l’autonomia della magistratura tutela l’autonomia di ciascun magistrato : altrimenti perché la signora presidentessa si sentirebbe in diritto di richiamare all’ordine Borrelli?
Ed ancora : su cosa, i due, litigano furiosamente (ma con signorilità, naturalmente) ? Litigano su chi ha il potere di utilizzare i mezzi di comunicazione, litigano sul rapporto con la stampa, e difatti si intrattengono dottamente sugli effetti “comunicazionali” delle rispettive parole. Istruttivo, non vi pare?
Fosse solo per le pagine 116, 117 e 118, il libro ci è piaciuto. Leggendolo cercate queste altre due perle. Prima perla : “nel pool ci vorrebbe anche una donna : per una questione di immagine e poi perché le donne sono delle grandi lavoratrici”; si vede che la nostra non è ancora una società multiraziale, altrimenti anche un bel negretto non ci sarebbe stato male. Seconda perla : per dirimere i conflitti di attribuzione fra le procure di Roma e Milano il procuratore romano, Michele Coiro, disse che era sufficiente rispettare quel che era scritto nel codice; segno, pensa Borrelli, che non aveva compreso la complessità della situazione. Chi, non l’aveva compresa, Coiro od il codice di procedura penale?