Il Colle deve occuparsi del Palazzaccio. Avevamo avvertito di questa necessità, ora confermata e aggravata dai termini e dai contenuti di uno scontro feroce, interno alla Corte di Cassazione. Perché questo è il tema, non questa o quella sentenza, questo o quell’imputato. Ovvio che se tutto non girasse attorno alla condanna di Silvio Berlusconi (che ha già scontato la pena), nessuno si sarebbe occupato dei nostri rilievi, come molte altre volte è successo. Ma questa è un’aggravante: la giustizia è uguale per tutti. E tutti massacra, se non funziona.
Il problema è generale e, come vedremo, sono i giudici della Cassazione a far di tutto per mostrarci quanto si sia scassata. A noi non interessa che la ragione vada all’uno o all’altro dei giudici in conflitto. Noi indichiamo al presidente della Repubblica l’urgenza di un intervento. Ne va della certezza del diritto e del rispetto che si deve alla giustizia.
Riassumiamo i passaggi di questa storia, dato che a molti fa comodo imbrogliare le carte. Su Libero non abbiamo messo in evidenza la difformità fra due sentenze. Se aprissimo una rubrica sui contrasti giurisprudenziali non ci sarebbe alcun problema ad alimentarla, semmai ad arginarla. Ma non è quello che abbiamo fatto, sebbene si deve ricordare che la Cassazione ha un ruolo-dovere nomofilattico, vale a dire di assicurare l’omogeneità nell’interpretazione della legge, sicché trovarne di opposte è già un fallimento. Noi abbiamo fatto una cosa diversa: abbiamo trovato in una sentenza (del maggio 2014) un passaggio che critica duramente un’altra sentenza (dell’agosto 2013, quella che confermava la condanna a Berlusconi e altri, nel processo per frode fiscale), definendola “contraria alla assolutamente costante e pacifica giurisprudenza”. La prima domanda è: se non ce ne fossimo accorti noi non se ne sarebbe mai accorto nessuno? In Cassazione leggono le sentenze della Cassazione?
E non siamo stati gli unici, a notare quella prosa. Lo ha fatto la stessa Cassazione, che dopo avere letto i nostri articoli ed essersi avveduta (con quasi un anno di ritardo) del problema, ha emanato un comunicato stampa, rilevando, nella sentenza 2013, la “presenza di alcune espressioni palesemente superflue rispetto al tema della decisione”. La domanda è: l’ufficio relazioni esterne ha preso il posto delle sezioni riunite? Attendiamo ancora una risposta. E già che ci sono ci spieghino come fanno a conoscere e citare una sola “massima”, quando sono quattro.
Il 23 aprile scorso puntualizzavamo ancora il senso del lavoro che avevamo svolto, sottolineando l’opportunità che il Quirinale se ne occupasse. Ripeto (scusate), non per questo o quell’imputato, ma per il diritto e la giustizia. Quel giorno avvertivo anche di un pericolo, ovvero che qualcuno pensasse di portare la faccenda davanti al Consiglio superiore della magistratura, chiedendogli di occuparsi del merito di talune sentenze. Una roba pericolosa e tendenzialmente sovversiva. E’ accaduto quello stesso giorno, perché il giudice Antonio Esposito (presidente della sezione feriale che confermò la condanna a Berlusconi) ha presentato un esposto. In quello ci cita, criticando anche il nostro chiamare in causa il presidente della Repubblica. Ma lo sa, Esposito, chi è il presidente del Csm, cui lui chiede di procedere “per quanto di competenza”? E’ il presidente della Repubblica. Sicché sul punto concordiamo: il problema è da sottoporre al Colle.
Ma non basta, perché nell’esposto Esposito torna nel merito delle sentenze, facendo, fra le altre, due osservazioni: a. non è vero che quella del 2013 è diversa dalla costante giurisprudenza, cui, al contrario, s’adegua; b. non è possibile, come sostenuto dalla Cassazione del 2014, che la sentenza appellata (un caso di frode fiscale, giudicato a Trento) seguisse la Cassazione dell’agosto 2013, perché non c’era ancora. Bene, mettiamo che Esposito abbia pienamente ragione e che le cose stiano esattamente come le ha descritte. Ne consegue che i cinque giudici del 2014 sono degli incapaci, dei visionari o peggio. Ma siccome, al contrario di Esposito, non hanno rilasciato (almeno che io sappia) interviste, ne discende che gli errori-orrori da lui messi in evidenza li legge nelle sentenze. La domanda è: possibile che un presidente di sezione immagini che, con un esposto, s’inneschi un procedimento disciplinare (in capo a chi? a uno o a cinque? al solo relatore, lo stesso per le due sentenze in contrasto, o a tutto il collegio, che ha firmato la sentenza, si suppone dopo averla letta?) nel corso del quale si discuta il merito delle sentenze? Cioè che le sentenze siano discusse, non in pubblicistica o in dottrina (come è legittimo), ma nel merito e al fine d’individuare una responsabilità, da un organo non giudiziario?
Queste domande ignorano totalmente l’identità dei processati. Non me ne importa nulla e nulla dovrebbe importare a chiunque abbia idea di cosa sia il diritto. Queste domande non possono restare senza risposta. Prima eravamo noi, ad avere visto un elefante in cristalleria. Poi è stato l’ufficio stampa della Cassazione, ad essere entrato fra i cristalli, in un inseguimento fra pachidermi. Infine sono il presidente della Cassazione, il procuratore generale e il Csm a essere tirati in ballo da uno dei vertici della Cassazione stessa. Noi vedemmo un elefante, ma questo è un circo. Non ci volgeremo dall’altra parte, come fanno quasi tutti gli altri. Ci rivolgiamo al Signor presidente della Repubblica: tocca a Lui smontare questo attendamento.
Pubblicato da Libero