Gli errori commessi, in queste ore, dal ministro Giovani Maria Flick sono talmente enormi da dover dubitare o della sua facoltà di comprendonio, o della sua effettiva libertà di pensiero ed espressione. Propendiamo, anche per motivi di rispetto personale, per questa seconda ipotesi. Che, però, è istituzionalmente assai grave.
Non si perda mai di vista la sostanza delle cose. La riforma introdotta, in prima lettura, al Senato si riferisce ad un principio del tutto ovvio, e fin qui dimenticato : è evidente, infatti, che non può esistere regolare processo se la difesa non può interrogare i testimoni su cui si basa l’accusa. E’ un’evidenza talmente solare, che neanche certi tarantolati del giustizialismo riescono a trovarvi alcunché di criticabile.
Il problema riguarderebbe, invece, a detta del ministro, l’opportunità di applicare tale principio già ai processi in corso, o, come secondo lui sarebbe meglio, solo ai processi che si devono ancora aprire. Tale pensiero, del ministro, conforta l’ennesima sortita dei poolisti milanesi, secondo i quali una riforma in tal senso garantirebbe ai tangentisti (e perché solo a loro?) l’impunità, dato che porterebbe dritti dritti alla prescrizione dei reati. Ecco, sia l’una che l’altra tesi sono prive di fondamento alcuno. Ed il perché è presto detto.
L’idea che si possa non applicare, da subito, una riforma approvata dal Parlamento, che si ritiene sacrosanta, e che favorisce la difesa degli imputati, può venire in mente solo a chi pensa che la Costituzione sia uno stato fisico, da curare con i ricostituenti (celeberrimo l’olio di fegato di merluzzo). Come, una simile castroneria, può passare per la testa di un signore che faceva il professore, ed era avvocato di grido e pagatissimo? La risposta si trova subito dopo avere illustrato l’altra tesi infondata.
Secondo taluni magistrati, quelli ritratti talora a piedi e talora a cavallo, la riforma, benché giusta, porta al rischio della prescrizione. Falso. Falsissimo. Anzi, lo evita.
Se un cittadino viene condannato sulla base di testimonianze, non suffragate da riscontri e, per giunta, non ripetute in dibattimento, sempre ammesso che ancora esista la Corte di Cassazione, è largamente probabile che quella sentenza venga annullata. Dovendosi ricominciare da capo, avendo perso degli anni, la prescrizione è garantita. Al contrario, se si introduce subito (com’è doveroso) la nuova prassi, si impiegheranno suolo due o tre mesi in più. Se due o tre mesi sono il tempo che fa scattare la prescrizione (che parte dai sette anni e mezzo, e raggiunge i quindi anni ed oltre), questo vuol dire che, pur in assenza della riforma, i magistrati avevano già perso un mucchio di tempo. Protestino, quindi, contro se stessi.
Ricordo, infine, che quando si disse, in un recente passato, che molti processi rischiavano la prescrizione, da Milano si alzò un coro per tacciar di mendacio chi lo sosteneva. Possibile che, adesso, per un massimo di due o tre mesi, tutto sia cambiato?
Ora, e veniamo alla domanda prima posta, il professor avvocato ministro Flick queste cose le sa. Allora, perché si abbandona a dichiarazioni che gettano un’ombra sulla tenuta della sua lucidità? Solo per paura dei milanesi? E cos’ha, lui, da temere? O teme per qualcun altro, nelle cui mani ha giurato fedeltà?
Da troppo tempo va avanti questo minuetto, da troppo tempo taluni sostengono che i poolisti milanesi hanno elementi per influire sul buon umore del colle più alto, da troppo tempo le smentite vengono puntualmente smentite. Oh ministro Flick, non le pare che su questa vicenda sarebbe bene fare luce? Che ne direbbe di un’ispezione, al fine di accertare se questi elementi, di potenziale ricatto, esistono o meno? Sempre, naturalmente, che non le ripugni utilizzare uno strumento costituzionalmente garantito, per far luce sull’operato di un suo compagno di sciate (vedi edizioni del Sole 24 ore).