Bruno Contrada esce dal carcere per non morirci, la giustizia ha deciso che l’ultimo atto si svolga a casa. La tragedia della sua vita non esaurisce quella collettiva, la nostra storia falsata da una sentenza che inquina la memoria. Il corpo del detenuto esce dalla cella, ma la nostra anima resta prigioniera di una maledizione: l’ombra della guerra interna ai servizi di sicurezza che s’allunga fino a stroncare un poliziotto che s’era distinto nella guerra alla mafia. Non è l’unico, perché anche altri servitori dello Stato, impegnati su quello stesso fronte, hanno trovato la morte più per mano di pezzi dello Stato che non per quella del nemico.
Quando quel corpo, divenuto pietra, cesserà di respirare, qualcuno si ricorderà di dire che, forse, la sua vita non può essere né raccontata né capita solo usando le parole storte del processo e della condanna. Alcuni degli uomini che hanno avuto il coraggio di parlare, a cominciare dal suo capo della Polizia, non ci sono più, ma altri troveranno le parole per descrivere il proprio disagio, la propria impossibilità a comprendere come sia potuto accadere. Non sarà solo tardi, sarà anche inutile. Contrada, accettando di vivere fino in fondo il dolore di una condanna, che sente come un tradimento, avrà vinto la sua partita, uscirà di scena a testa alta. Noi tutti, se solo si avrà il coraggio di ragionare, procederemo a testa bassa verso l’ennesima sconfitta del diritto e dei giusti.
Contrada, quand’era la memoria vivente dell’antimafia palermitana, non amava Giovanni Falcone. Capita, fra caratteri puntuti. Credo, però, che ne invidi la fine. Anche Falcone fu portato sul banco degli accusati, anche alla sua onorabilità si fecero attentati, anche contro di lui si mosse l’antimafia della chiacchiera, ma a chiudere la partita fu il tritolo, che dilaniò chi già era isolato, trasformandolo in immagine, per tanti del tutto bugiarda, della giustizia. A Contrada è toccata una sorte peggiore, dovendo seguire da vivo la propria morte, vedendo attrezzarsi l’attentato e divenendo simbolo di quel che aveva detestato.
Un tribunale lo ritenne innocente. Quella sentenza non fu, da altri colleghi, ritenuta utile neanche a far nascere un ragionevole dubbio. Sono i giudici stessi, dunque, a ritenere certe cose scritte a caso, o per altre cause.