Giustizia

Delirio corporativo senza controlli

Delirio corporativo senza controlli

Lo sfascio della giustizia italiana ha radici profonde, alimentate da un delirio corporativo di cui sarebbe colpevole ignorare i contorni, le origini e la natura.

Le impressionanti lungaggini processuali vengono spesso addebitate ad una carenza di organici, al fatto che i magistrati giudicanti, i giudici, sarebbero troppo pochi. Le cose non stanno solo così, c’è anche un problema, enorme, di qualificazione e produttività dei giudici esistenti.

25 luglio 1966. Una data importante, questa. Quel giorno il Parlamento approva la cosiddetta “legge Breganze”, dal nome del deputato che ne fu proponente. Già dal 1963 era stato affermato uno strano principio : le promozioni non avvenivano più sulla base dei posti disponibili (ad esempio : si libera un posto di giudice di Corte d’Appello e, quindi, un singolo viene promosso a quel posto), ma si promuovevano i candidati idonei a prescindere dalla disponibilità dei posti. Si accedeva, quindi, ad incarichi superiori che, però, non esistevano. Con la legge Breganze la turpitudine si complica, e si stabilisce lo scorrimento automatico sino al grado di magistrato di Corte d’Appello. Si elimina il concorso e si fa valere solo l’anzianità.

20 dicembre 1973. Non paghi della Breganze, i magistrati chiedono ed ottengono il “Breganzone” : scorrimento automatico, senza alcun esame, per sola anzianità, fino a magistrato di Cassazione. Ci piace ricordare che, allora, presidente della Commissione Giustizia, alla Camera dei Deputati, era Oronzo Reale, che fu poi ministro di Grazia e Giustizia, ed infine giudice costituzionale. Reale, nel corso della discussione, cedette ad altri il ruolo di presidente, prese posto fra i banchi e da qui levò un durissimo attacco contro un malcostume che, come disse, violava un mucchio di precetti costituzionali. Reale disse anche che non era disposto a subire ricatti. E questo serva di monito a quanti credono che sia facile opporsi ai desideri della corporazione giudiziaria. Ma anche il Breganzone passò.

Grazie a questa dissennata riforma la magistratura divenne un’azienda di soli amministratori delegati, o, se si preferisce, un esercito di soli generali. Basta guardare i numeri : prima i magistrati di Cassazione di grado terzo erano 82, nel 1989 erano diventati 1.716; i magistrati di Cassazione di grado quarto erano 493, e diventano 1.048. I posti rimangono, naturalmente 575, ma per quei 575 che realmente operano in Cassazione noi paghiamo la bellezza di 2.764 stipendi. Una totale follia.

6 agosto 1984. Non basta, si va oltre. Mentre gli italiani si trovano sotto l’ombrellone viene approvata la norma del “galleggiamento”. Significa che a parità di qualifica deve esserci parità di stipendio, tutti i magistrati, pertanto, percepiscono uno stipendio pari al più alto pagato ad un singolo magistrato che abbia quella determinata qualifica. Se in uno specifico livello entra oggi un magistrato che, per vari motivi, percepisce uno stipendio più alto tutti gli altri, automaticamente, “galleggiano” ed hanno diritto a prendere quei quattrini.

Tutto questo nel mentre la giustizia italiana naufragava nei ritardi e nelle inefficienze, nel mentre non veniva effettuato alcun controllo di produttività, nel mentre si aboliva qualsiasi controllo sulla effettiva preparazione dei signori che sono così lautamente pagati. Per venire ad un fatto dei nostri giorni : la Corte di Cassazione scrive che i giudici della Corte d’Appello di Milano che si sono pronunciati sulla richiesta di riapertura del processo per l’uccisione del commissario Calabresi, hanno ignorato alcune elementari norme di diritto : sono degli ignoranti. Ebbene, gli “ignoranti” continueranno ad essere coccolati e pagati come fossero luminari del diritto.

I dati che ho riportato si trovano, da ultimo, in un libro di Gargani e Panella (“In nome dei pubblici ministeri”, Mondadori), così come si trovano in altri volumi, più per addetti ai lavori. Colpisce, però, il fatto che di queste cose non si è mai voluto parlare. Colpisce che nei fiumi d’inchiostro che il giornalismo italiano ha steso ai piedi di questi nuovi potenti non si sia trovato un rigagnolo da dedicare ad un’inchiesta sul delirio corporativo.

Non è sana quella democrazia che assiste allo scontro frontale fra poteri costituzionali. Ma non è sana neanche quella democrazia che diviene preda degli egoismi corporativi.

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