Il sistema dell’informazione è diventato una gran fabbrica della diffamazione. Hai volglia ad approvare leggi che proibiscono di riprendere le persone in manette, od a compitare decaloghi etici, a far convegni e così via tempo sprecando: il mostro è bello, attizza, vende bene, e se proprio non esiste lo s’inventa. Quindi si metta l’animo in pace, il vasto popolo dei diffamati, la loro è carne da macello.
Se un qualche pubblico ministero, in cerca di notorietà, li accuserà dei reati più infamanti, nessuno toglierà loro l’onore della prima pagina, dell’apertura dei tg, nessuno li sottrarrà alla ripetizione nevrotica ed estenuante della notizia, alla rimessa in onda ossessiva delle stesse immagini. Domani (fra una decina d’anni), quando un Tribunale li scagionerà, essi potranno gioire in solitudine e complimentarsi per essere nati in un paese civile, ove la giustizia funziona. Certo, possono querelare per diffamazione, ma si tratta di un’iniziativa ridicola. Mica si può attentare al diritto di cronaca! Anche la pretesa d’essere innocenti, diciamoci la verità, è un’offesa alla corte (che non c’è), e mostra che non siete uomini di mondo. Che bello, ma c’è un’eccezione.
L’eccezione scatta quando si pretende di scrivere sull’operato dei magistrati. Allora attenti, perché a tutto c’è un limite. A me è capitato di recensire il libro di un magistrato (ed a Diaconale di avere la cattiva idea di pubblicarla): sosteneva che l’illustre autore aveva gravemente offeso il Parlamento e la democrazia e che, in un paese civile, uno così non poteva continuare a percepire lo stipendio per far rispettare le leggi. Querelato, ed in una settimana rinviato a giudizio. Quando si dice l’efficienza.
Faccio diligentemente l’imputato e dimostro che i miei giudizi erano tutti fondati sullo scritto dell’illustre querelante, citazioni alla mano.
Il Tribunale, udite udite, mi da ragione: è vero, il querelante quelle cose le ha scritte e, quindi, non può sentirsi diffamato. Però mi condanna, perché ho detto che scrivendo quelle cose il noto magistrato si “gloriava” e si “dilettava”, e questo è offensivo. Della serie: non esiste la vergogna.
Inutile fare appello alla solidarietà dei giornalisti e dei commentatori, inutile pretendere una reazione da quella supposta intellettualità che firma tutto, tranne gli assegni (quelli, al massimo, li gira per l’incasso), mica siamo de sinistra. Siamo solo irriducibili amanti del diritto e della libertà.
Abbiamo avuto il cattivo gusto di non credere che esistessero degli intoccabili, di dare per scontato che la legge fosse uguale per tutti, e che anche la sintassi presupponesse una certa uguaglianza e che, pertanto, gli spaccapennino fossero capoccioni da tutte le parti. Ed invece no, perché un pisciainchiostro diviene un grande intellettuale se intuisce da che parte tira il vento. Noi, invece, ci esprimiamo controvento, con gli inconvenienti che questo comporta.
Fra qualche giorno una banda di inviati presso le procure, un manipolo di arrestatori ad oltranza ed un gruppo di profittatori sulle disgrazie altrui verranno a spiegarci, con tono saccente, che occorre essere garantisti e che il diritto lo si rispetta, quali che siano le opinioni degli accusati. Ci hanno già spiegato il liberalismo, dopo aver marciato a pugno chiuso o fatto il passo dell’oca, adesso ci spiegheranno la libertà. Preparate il pernacchiometro, perché daremo fiato alle trombe.