Filippo Penati evita la custodia cautelare, in compenso incassa una condanna durissima, senza nemmeno il processo. Lui è tutto contento e commenta la cosa con soddisfazione. Per forza: sa bene quel che ha combinato, in Italia e all’estero, in ufficio e nei postriboli (la cui frequentazione ha rilevanza pubblica in quanto presupposto scambio fra favori pubblici e sollazzo privato, non per ragioni di moralismo da strapazzo), quindi non gli dispiace affatto una condanna in sede penale, ma senza effetti penali. Salva la ghirba, e tanto gli basta. Chi, invece, dovrebbe disperarsi sono i suoi amici e compagni, la sinistra, il partito democratico e specialmente Pier Luigi Bersani, perché si sono messi nella deprecabilissima condizione di non potere denunciare quel che noi possiamo apertamente dire: le ordinanze di condanna e le pene a mezzo stampa sono il ritratto dell’ingiustizia.
La storia politica degli ultimi venti anni è colma d’imprenditori che pagano tangenti ai politici e poi si dicono concussi, vale a dire costretti, poverelli, a farlo. E’, nella grande maggioranza dei casi, un falso, essendo essi interessati a pagare e avendo profittato di privilegi illegali nell’accaparrarsi beni e spesa pubblica. Solo che, normalmente, le cose prendono un andazzo processuale diverso: non solo si contesta per anni la concussione, non solo si procede all’arresto dei presunti concussori, ma si fa finta d’accorgersi che le cose stanno diversamente solo dopo una decina d’anni, mandando in prescrizione reati prima non contestati. Qui, invece, s’è adottato un costume diverso, smontando la contestazione specifica fin dall’inizio. E andrebbe bene, se la giustizia fosse veramente uguale per tutti. Nel farlo, però, s’è utilizzato il linguaggio e la pratica dell’inciviltà giuridica.
L’arresto di Penati era stato chiesto perché, a dieci anni dai fatti, lo stesso Penati avrebbe chiesto, passeggiando sotto l’ufficio, quindi premurandosi di non farsi intercettare, all’imprenditore che accusa, Giuseppe Pasini, di ammorbidire le sue dichiarazioni. Questo, dicono i pubblici ministeri, configura l’inquinamento delle prove e rende legittima la custodia cautelare. Credo che il giudice delle indagini preliminari avrebbe dovuto respingere tale richiesta affermando che il pericolo d’inquinamento non può consistere in un colloquio, non essendo prevista dalla legge la proibizione di frequentare chi accusa, e, comunque, non a quella distanza di tempo. L’arresto di Penati, insomma, sarebbe stato non una conquista, ma una sconfitta della giustizia. Il giudice, invece, si concentra sul reato presupposto, cancella la concussione e afferma che benché sia evidente la corruzione, benché la colpevolezza di Penati sia solare, il reato è prescritto.
Il gip parla di “un sistema nel quale il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della tangente sono costanti”. La procura di Monza afferma che la condotta di Penati è tipica di “un delinquente matricolato”. Il tutto senza processo. E’ comprensibile che l’interessato gioisca, perché fa marameo alla giustizia e torna a godersi la vita, è inammissibile il silenzio delle forze politiche. E’ inammissibile che gli avversari politici della sinistra brandiscano la condanna, tacendo l’assenza di processo, come è inammissibile che la sua parte politica, per omertà e complicità, non sappia trovare il coraggio per denunciare la stortura.
Sono anni che noi conduciamo battaglie garantiste, continuando a dire che la previsione costituzionale (“Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”, articolo 111) ha generato una letteratura social-politico-giudiziaria che viola i diritti del cittadino e incenerisce la presunzione d’innocenza, e sono anni che ci troviamo da soli, perché la sinistra ha dimenticato la civiltà e preferisce usare i procedimenti penali contro gli avversari, mentre i vertici della destra sono costantemente sotto accusa, condizione nella quale si dimenano maldestramente. Da anni siamo additati quali conniventi degli imputati, laddove siamo solo amanti del diritto. Anche oggi, su quest’orrenda vicenda, torniamo ad essere soli, non consolandoci affatto il vedere la sinistra strangolarsi con il proprio stesso cappio.
Aggiungo un dettaglio: quando il diritto funziona i colpevoli vanno in galera, ma dopo la condanna, mentre se si fa del moralismo uno strumento di battaglia politica al disvelarsi di costumi come quelli di cui s’è reso protagonista un così intimo sodale, i vertici politici dalla doppia morale escono di scena.