Giustizia

E’ solo un accusatore

E' solo un accusatore

La Corte Costituzionale ha, infine, tagliato il nodo di un’ipocrisia, contenuta nelle nostre leggi e molte volte ripetuta : il pubblico ministero è, in un processo, solo il rappresentante dell’accusa, non ha, quindi, alcun titolo per porsi al di sopra delle altre parti.

Una seconda ipocrisia, invece, rimane : durante le indagini preliminari, secondo le nostre leggi, il pubblico ministero è tenuto a raccogliere anche le prove a favore dell’indagato. Questo, nella realtà, non avviene, e già nel corso delle indagini il pm si comporta come un accusatore. Non ce ne scandalizziamo, ma segnaliamo il fatto che anche questa ipocrisia dovrà cadere.

Le conseguenze di tale sentenza sono notevolissime, e vanno direttamente ad incidere nel vivo del dibattito istituzionale in corso. In particolare, dato che il pm è un rappresentante dell’accusa, non solo non vi è motivo per il quale debba trovarsi nella medesima carriera in cui si trovano i giudici, ma, addirittura, è assolutamente irragionevole ed illegittimo che le cose continuino ad essere conservate come sono. Le carriere devono essere nettamente ed incomunicabilmente separate, fra pm e magistratura giudicante, ovvero i giudici.

Contro questa solare evidenza si è mossa l’associazione nazionale magistrati, anche se, è bene ricordarlo, le tesi dell’anm non sono affatto condivise da tutti i magistrati. Ma perché l’anm mantiene una simile, irragionevole, posizione? I motivi sono, fondamentalmente, due : uno di tipo teorico, l’altro di natura corporativa.

Il motivo teorico (l’unico ufficialmente adottato) si basa sulla tesi secondo la quale mentre gli avvocati difendono il loro cliente anche se lo sanno colpevole, i pm, che sono dei magistrati, puntano all’accertamento della verità, quale che essa sia, anche se essa comporta l’innocenza dell’accusato. Una simile tesi, da anime pie e misericordiose, oltre a non trovare riscontri nella realtà, è stata, come abbiamo ricordato, bocciata dalla Corte Costituzionale. Vogliamo augurarci che l’anm riconosca validità ed autorevolezza a tale sentenza.

C’è di più. E’ stato sostenuto, da parte di un procuratore della Repubblica assai noto, ritratto talora a piedi e talora a cavallo, che l’unicità delle carriere è indispensabile affinché i pm abbiano una cultura da giudici e che, pertanto, non si abbandonino agli eccessi della foga accusatoria. Tesi che deve essere sembrata intelligente, forse pungente, a tratti autoironica. Tesi, però, che è semplicemente la negazione del sistema accusatorio, attualmente in vigore in Italia.

In nessun sistema giudiziario di tipo accusatorio (in vigore nei paesi di cultura anglosassone) nessuno si è mai posto il problema della foga accusatoria dei rappresentanti dell’accusa. E’ un problema irrilevante, sollevare il quale non è sintomo di garantismo, ma di confusione mentale. Il punto vero, quello che conta, è che il giudice, essendo realmente estraneo sia all’accusa che alla difesa, abbia il compito e la capacità di far rispettare le regole e, quindi, i diritti del cittadino. L’accusa porti pure tutta la foga di cui è capace, sarà il giudice a rimetterla sui binari del diritto.

In Italia, invece, si pretende di avere un pm non solamente accusatorio perché si spera e si conta di avere una magistratura giudicante incapace di ergersi ad arbitra e tutrice delle leggi e dei diritti. Insomma, nella difesa dell’unicità delle carriere, sostenuta con gli argomenti che si sono visti (e tralasciamo ogni considerazione sulle sedi improprie) è posto il germe della ribellione di certi magistrati contro il sistema giudiziario nel quale operano.

Tanto basterebbe, in un paese seriamente intenzionato a far rispettare le leggi, a far loro cambiare mestiere. Qui, da noi, invece, si discute se riceverli o meno alla Bicamerale.

Infine, la tesi secondo la quale il pm deve avere una cultura da giudice poggia sulla convinzione che, nel processo, le parti non sono sullo stesso piano, accusa e difesa non sono sullo stesso piano. Al contrario, invece, tutta l’impalcatura logica del processo accusatorio parte dal principio opposto : accusa e difesa sono parti, e parti sullo stesso piano.

Naturalmente, nessuno può negare ad un cittadino il diritto di sostenere il contrario, e di battersi per far prevalere le proprie idee. Le leggi degli uomini sono sempre modificabili, e chi propone una legge nuova quasi sempre si oppone ad una esistente. Ma questo diritto non può in nessun caso essere riconosciuto ai magistrati, per giunta riuniti a convegno, dato che essi sono cittadini pagati dallo Stato al fine di far rispettare le leggi esistenti.

Insomma, al bar sport tutti hanno il diritto di esporre le proprie idee su come dovrebbe essere modificato il regolamento che presiede al regolare svolgimento di una partita di calcio. Ma è ovvio che tale diritto non può essere riconosciuto all’arbitro in campo, il quale è lì per far rispettare il regolamento vigente, non quello che coltiva fra i suoi desideri.

Il secondo motivo, per cui un certo numero di magistrati sostiene l’unicità delle carriere, è di tipo corporativo. Essi possono cambiare di funzione rimanendo nella stessa sede, evitando i disagi di un trasferimento. Possono farlo senza affrontare concorsi ed esami, cosa spesso fastidiosa per chi ha toccato l’ultimo libro in età imberbe. Possono crearsi colleganze e comuni sentimenti fra controllati e controllori, fra pm e gip, fra gip e Tribunali della libertà. Insomma, tutti gli ingredienti del corporativismo nostrano, fatto di quieto vivere e carrierismo.

Questo secondo motivo, a ben vedere, ha meno valenze anti istituzionali del primo. Ma rimane una pulsione da basso ventre. Una sorta di cobas della giustizia. Un governo ed un parlamento consci della propria funzione democratica, consapevoli delle proprie responsabilità, guarderebbero a questi bisogni corporativi con commiserazione, e senza condiscendenza.

Purtroppo, quel che si profila all’orizzonte è la separazione delle funzioni : pm e giudici rimangono nel medesimo ordine e con la medesima carriera, ma con funzioni separate. Don Abbondio non avrebbe saputo pensare a niente di meglio. Una soluzioncina furbetta, destinata a crollare nel giro di qualche anno, se non di qualche mese.

Ma una soluzione pericolosa. E’ pericolosa perché, incontrando anch’essa l’opposizione ciecamente corporativa di certi magistrati di grido (di vergogna), suona come la premessa di un regolamento di conti fra poteri dello Stato. Un regolamento chiamato riequilibrio, ma pur sempre un regolamento. Per cui non si giunge ad una soluzione degna e chiara, ma si compie un passo verso il ridimensionamento della magistratura. Passo pericolosissimo, giacché un sistema democratico non ha alcun bisogno, ed alcuna convenienza a che i poteri vengano ridimensionati, esso ha interesse e convenienza a che nessun potere sia incontrollato, nessuno sia assoluto, nessuno si autoreferente.

L’indipendenza della magistratura, quindi, è un bene prezioso. E chi, come noi, crede nella giustizia, non può che difenderlo. Tale indipendenza è oggi minacciata da una magistratura che si mostra apertamente insofferente per le regole; e da un mondo politico che mira agli equilibri di potere, piuttosto che a regole equilibrate.

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