Giustizia

Fenomenologia dell’estintore

Fenomenologia dell'estintore

L’estintore serve ad estinguere. Ufficialmente le fiamme, volendo, però, ci si può estinguere dell’altro. Mediamente pesa cinque chili scarico e tredici se pieno. Non occorre essere degli esperti in fisica per immaginare quale forza e quale peso assume un oggetto del genere se scagliato contro un bersaglio. Lanciandolo contro una vettura se ne può estinguere parte consistente, riducendola ad un rottame. Lanciandolo contro una persona si può estinguerla alla vita, o menomarla per sempre. La fenomenologia dell’estintore indica una conclusione incontrovertibile: chi lo usa per fini non ortodossi non ha in animo di segnalare la propria insoddisfazione, ha deciso di fracassare e uccidere. In qualsiasi Paese assennato chi venga beccato a brandirne uno finisce in galera. Se riesce ad usarlo ci resta a lungo. Ed è su questo, sull’assennatezza dell’Italia, che la fenomenologia dell’estintore segnala follie.

Dieci anni fa un manifestante, a Genova, si trovò esattamente in quella condizione: aveva in mano un estintore, raccolto dopo che già era stato usato per colpire una camionetta dei Carabinieri, e con quello si dirigeva verso i militari. Voleva colpirli? Dubito vollesse far vedere quant’era forzuto, tanto più che faceva caldo (era luglio), vestiva una canottiera, ma anche un passamontagna. In qualsiasi Paese assennato sarebbe finito in galera, e con lui i suoi numerosi complici. Da noi è diventato un eroe. Dalla camionetta un Carabiniere ha sparato e il potenziale assassino è morto. Non sarebbe dovuto accadere, il compito di fargliela pagare sarebbe spettato alla giustizia. Purtroppo andò così. Davanti alla giustizia ci finì il carabiniere. Lui, lo strumento della repressione. Mamma mia: la “repressione”. Perché, che altro si fa, in qualsiasi Paese assennato, se non reprimere e punire certe condotte? C’è la via italiana: s’intitola al violento una sala del Parlamento. Nel medesimo si elegge un suo genitore. Il nostro eroe, il nostro fenomeno dell’estintore, ha il suo tabernacolo, ove lo si può adorare.

Guardate le foto: dieci anni dopo la stessa scena. Guardate il carabiniere che scappa: lo avessero preso lo avrebbero bruciato e macellato. Se avesse sparato lo avrebbero processato. Se avesse ucciso ci sarebbe un martire: il mancato assassino. Guardate l’estintore odierno, guardate quello di allora. Due domande: chi sono? come se ne esce?

Non sono manifestanti, non sono movimenti politici, sono fanatici della violenza, squadracce organizzate, persone che s’esercitano in occasioni politiche o sportive, pur di affermarsi distruggendo. Chi li manovra? Si generano nel fanatismo, s’alimentano di nichilismo, prosperano nel vuoto. Posta la massa di manovra, possono poi essere utilizzati. Può accadere in modo pianificato, più facilmente e frequentemente, invece, basta lasciarli esistere. Al resto provvedono da soli. Qui sta una prima chiave, per uscirne: nessuna copertura, nessuna condivisione, nessuna pelosa comprensione, si deve poterli respingere e arrestare al solo comparire. Alcuni manifestanti, a Roma, ne hanno consegnati tre alle forze dell’ordine: bravi, grazie. Basta il casco, indossato senza moto, e si fanno scattare le manette. A New York le hanno usate per molto meno.

La repressione è giusta. Vanno spazzati via, a tutela dei manifestanti e del loro diritto a protestare (anche quando si ritiene, come ritengo, che abbiano torto). Vanno arrestati e condannati, a tutela dei cittadini. Ma la repressione non è affare di Carabinieri e Polizia, spetta alla giustizia. I “riots” londinesi sono stati arrestati, processati e condannati nel giro di pochi giorni. Negli Usa sono finiti davanti al giudice (e liberati) in giornata. Il nostro giudice quando interverrà? Si accettano scommesse, ma sull’anno. Eppure questa è l’unica via d’uscita legittima, perché solo il processo, non le foto o i questurini, divide i colpevoli dagli innocenti. Vale per qualsiasi reato, e in qualsiasi caso i tempi italiani violano i diritti di tutti: accusati, vittime e società.

Si deve tornare a parlare di giustizia. In modo strutturale, non emergenziale. Sono lustri che, inutilmente, ci si occupa di come evitare ingiustizie e politicizzazioni, posponendo la necessità far esistere la giustizia. Attenti: la fenomenologia dell’estintore può portarci ad aggravare i torti anziché far prevalere le ragioni e la ragione.

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