Giustizia

Fiandaca lex

Fiandaca lex

Giovanni Fiandaca è un maestro di diritto. Di quelli che non ritengono possa essere storto alle convenienze di parte. Di quelli che sanno che se lo storci da un lato ti si distorce tutto, irrimediabilmente. Alla ribalta del dibattito pubblico s’è trovato, di recente, per un sostanzioso ragionamento giuridico sul processo così detto “trattativa Stato-mafia”. Non è che lui sia favorevole o contrario, ha “solo” messo in evidenza che non sta in piedi. Gliene sia reso merito.

Fiandaca ora accetta la candidatura alle elezioni europee, offertagli dal Partito democratico. Se c’è un posto dove le sue capacità non potranno essere valorizzate, semmai dimenticate, è il Parlamento europeo. Ma dopo averlo scritto mi rendo conto che è irrilevante. Conta il “segnale”, come si dice in un linguaggio da indiani. Accettando la candidatura, però, al suo blasone accademico s’aggiunge l’impegno politico. Cosa del tutto legittima, ovviamente, ma che comporta doveri aggiuntivi. Il primo dei quali riguarda sé stesso: non faccia la figurina coprente i lunghi e dolorosi anni di sinistra giustizialista. Che non è l’opposto del garantismo, ma del diritto.

Egli sostiene (chiedo scusa per la sintesi brutale): no all’idea che i magistrati siano intoccabili; sì al potere discutere e criticare le sentenze (che comunque si applicano, dove definitive); no ai sacerdoti dell’antimafia, che magari officiano a parole e coprono un razzolare opposto; riconoscere, venti anni dopo tangentopoli, “che è una vera illusione affidare alla magistratura le leve del cambiamento”. Tutto giusto. Il punto, però, non è il riconoscere che c’è chi queste cose le scrive e ripete da lustri, beccandosi insulti e allusioni intollerabili, non è attribuire un premio a chi l’ha detto prima, ma riconsiderare la storia di questi nostri anni, la progressiva distruzione della giustizia, e valutare il peso avuto da tesi e parole che si identificano, ora, come sbagliate. E’ vero che questo è un Paese cattolico, ma non è ammissibile che solo chi ha molto peccato (e non è certo il caso di Fiandaca), chi ha molto sostenuto l’errore, chi se ne è giovato per mettere a tacere gli altri, chi lo ha usato come arma illegittima nella battaglia politica ed elettorale, sia oggi autorizzato non solo a sostenere il contrario, ma a ulteriormente giovarsene. Capisco di dire una cosa muffuta e desueta, ma la coerenza non è un optional. La coerenza, che esiste anche quando si ammette un errore, è la morale della politica.

Non occorre essere panormensi per sentire il dolore lancinante della sconfitta e dell’isolamento che colpirono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Prima che fossero uccisi e a cura dei colleghi e della sinistra amministrante il Consiglio superiore della magistratura. Sconfitta che non propiziò certo il contrasto alla mafia. Non occorre essere tifosi del centro destra per rammentare il senso politico di inchieste che resteranno per sempre orfane di condanne. Né occorre essere seguaci di Silvio Berlusconi per vedere che il prendere le distanze dalla pistola giudiziaria segue l’avere centrato il bersaglio. Di tutto ciò sono solo palermitano. Forse, per questo, più sensibile all’oltraggio culturale, ma nella certezza che il danno è stato collettivo e nazionale. Si rimedia correggendo le norme, adeguandole al sistema accusatorio, quindi anche con la separazione delle carriere (non è una bandiera, è l’ovvio), con la certezza dei tempi. E si rimedia promettendo alle toghe che il discostarsi dalla cultura del diritto e dalla norma sarà punito. Altrimenti si perdona a loro e si perdona ai rei, legittimando l’inferno in cui siamo, con le misure cautelari e i processi quali pene più pesanti dei verdetti.

La giustizia è materia terribile e necessaria. Non c’è collettività che si mantenga civile senza che il reato sia punito. Né processo che sia regolare senza il rispetto dei diritti e della dignità dell’imputato. Dentro l’Aula e fuori. Sono valori che l’Italia deve recuperare, avendoli svillaneggiati in ogni modo. Ecco, volevo solo dire che il politico Fiandaca può fare molto, anche se difficilmente da Strasburgo. Ma in quanto politico non basta che si mantenga coerente con sé medesimo, occorre che faccia seriamente i conti con la coerenza della parte politica che lo farà eleggere (chiedendosi se quelle sue stesse idee avrebbero analoga accoglienza, se schierate diversamente). In bocca al lupo.

Pubblicato da Libero

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