Giustizia

Flick, lo storto del diritto

Flick, lo storto del diritto

La notizia non è che Giovanni Maria Flick sia stato eletto presidente della Corte Costituzionale, anche perché è falsa, semmai è questa: la Costituzione non conta nulla neanche per la Corte che ne porta il nome. La prima notizia è falsa perché l’ottimo avvocato sarà presidente solo per tre mesi, nel corso dei quali, più che altro, celebrerà le vacanze. Dopo di che andrà in pensione con un quinto dei soldi in più, che già ammontavamo a 30.000 euro al mese, avrà la macchina e gli autisti a vita e potrà insegnare dove gli pare. Suppongo anche l’arte d’arrangiarsi.
Flick, purtroppo, non è un’eccezione: è dall’inizio degli anni novanta (non a caso dall’inizio del disfacimento istituzionale) che è invalso l’uso d’eleggere presidente il più anziano per nomina, vale a dire quello che lo farà per meno tempo. In questo modo si sanciscono due principi: a. anche nella più alta Corte si fa carriera per anzianità, come in tutto il resto della scassata ed inefficiente magistratura; b. i presidenti diventano numerosi, e con l’allungarsi della vita media gli ex si moltiplicano, assieme ai costi. Due cattivi esempi, in un colpo solo.
Ora vi faccio entrare in una ristrettissima élite, comprendente i pochissimi che la Costituzione l’hanno letta e non ne cianciano a vanvera. Articolo 135, quinto comma: “La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile …”. Flick dice che nella Costituzione non c’è un termine minimo, e deve avere un testo diverso dal mio, e sostiene che la “prassi” prevale sul dettato costituzionale. Tesi affascinante, per chi dovrebbe difendere il secondo, ma che non stupisce, visto che si tratta della persona che appose la firma sulla sentenza che cancellò la migliore legge penale degli ultimi anni, quella che prevedeva la non riprocessabilità dei cittadini assolti.
Immorale della favola: ieri si sono congratulati tutti, perché la libertà d’opinione non serve a niente in un Paese di conformisti, luogocomunisti e poveri di spirito. Nessuno avverte la lunga lacerazione costituzionale perché pochi ci guadagnano ed i più non hanno gli strumenti culturali per capire quel che succede. Il diritto s’è storto, in Italia, senza risparmiare la Corte che dovrebbe difenderlo.
Caro direttore,
Davide Giacalone («Libero» del 19 novembre) critica la mia elezione a Presidente della Corte costituzionale, per via della brevità dell’incarico, fino a definirla «falsa». Falsità a parte, non solo questa critica è ovviamente un diritto, ma anche io, nella dichiarazione letta pochi minuti dopo l’elezione e forse non integralmente nota al suo collaboratore, ho espresso riserve su questa prassi e non mi sono affatto compiaciuto del fatto che essa prevalga – come mi fa dire Giacalone – sul dettato costituzionale. Comunque mi permetto allegare il testo integrale di quella dichiarazione, per sua conoscenza e valutazione.
Una volta criticata la prassi, Giacalone la attribuisce ai numerosi privilegi, economici e non, che da essa deriverebbero: in particolare l’andare «in pensione con un quinto dei soldi in più».
Mi permetta di fare chiarezza su questo punto. Tutti gli ex componenti della Corte costituzionale sono «giudici emeriti» (articolo 20 del Regolamento generale) e non c’è alcuna differenza di trattamento tra loro, a prescindere dal fatto che siano stati “soltanto” giudici o abbiano concluso il mandato da presidenti o vicepresidenti. L’unica differenza, economica e di ogni altro genere, è rappresentata dall’«indennità di rappresentanza pari ad un quinto della retribuzione», prevista per legge e percepita dal presidente della Corte durante la carica. Per le presidenze brevi come la mia tale indennità non determina alcun effetto previdenziale. Perciò la mia pensione non cambierà.
La ringrazio per l’ospitalità.
Giovanni Maria Flick
Presidente della Corte costituzionale
Ringrazio il Presidente Flick per le Sue parole, che sono per me un onore, oltre che una conferma puntuale di quel che ho scritto.
Circa la durata dell’incarico egli disse, nella dichiarazione cui fa riferimento, che “l’elezione del giudice anziano (…) è prassi largamente prevalente rispetto alla regola del triennio, posta dai Padri Costituenti”. E’ quel che ho scritto, la pensiamo allo stesso modo, aggiungo solo che, secondo me, il ruolo della Corte è quello di difendere il dettato, dato che la Repubblica non è fondata né sull’interpretazione, né sulla prassi od il precedente.
Apprendo che la brevità del mandato non consentirà effetti previdenziali. Sinceramente me ne dolgo.

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