Giustizia

Foti e Lembo

Foti e Lembo

Il bel mondo dei pentiti non finisce mai di stupire ed inorridire, anche se, ancora oggi, è poco diffusa la consapevolezza di quanto la loro dissennata gestione abbia inquinato la giustizia italiana.

Giacomo Foti era presidente della Corte d’assise di Reggio Calabria. Lo era al momento in cui fu arrestato, e lo è ancora oggi. Come è giusto che sia, visto che Foti era innocente.

Fu arrestato sulla base di un’inchiesta (si fa per dire) che ebbe Giovanni Lembo come coordinatore e propulsore, oltre che richiedente l’arresto del collega. Oggi è Lembo a trovarsi detenuto, dalla qual cosa non traiamo alcuna conclusione dato che, al contrario di Lembo e di tantissimi suoi colleghi, noi portiamo un effettivo e reale rispetto alla presunzione d’innocenza. Ma se Lembo è da considerarsi, fino a prova, a prova, del contrario, innocente per i reati che lo hanno condotto in carcere è, altresì, da considerarsi responsabile per quel che ha combinato nel pieno della sua attività inquirente.

Foti, difatti, finisce in carcere nel mentre è impegnato nella definizione di numerosi processi. E se i processi sono tutti importanti è, comunque, da sottolineare che stava occupandosi degli omicidi di Ludovico Ligato e Antonino Scopelliti (con relativa presenza di pentiti di cui vagliare l’attendibilità). Con il suo arresto quei collegi giudicanti vengono modificati e, questo, è un fatto gravissimo dato che demolisce uno dei pilastri portanti del nostro diritto, quello del giudice naturale.

Ma che volete, che il diritto al giudice naturale prevalga sul fatto che quel giudice è un delinquente? No, naturalmente. Ma questo sottolinea la delicatezza della questione e, pertanto, richiede una cautela ed un’attenzione particolare da parte degli inquirenti. I quali, invece, procedono alla cieca, o, che è l’ipotesi più inquietante, mirando con precisione ma senza motivi altri che non siano quelli della personale convenienza a togliere di mezzo il Tizio od il Caio.

Lembo raccoglieva le “prove” contro Foti, e queste, manco a dirlo, non erano altro che le solite favolette dei pentiti. Ad accusare Foti, in particolare, era un pentito che poteva vantare già tre condanne per calunnia. Tre volte calunniatore, ma oracolo di verità per il signor procuratore.

Nel settembre del 1995 il Procuratore generale della Cassazione giunge ad ipotizzare che, almeno, in questo caso i pentiti siano stati “strumento di manovra intesa a incidere sul funzionamento della Corte d’assise presieduta dal dottor Foti, impegnato in gravi e delicati processi”. Questo giudizio, pesantissimo, risale al 1995, ma fino a cinque anni dopo non si è ritenuto di andare a guardare in atti che avrebbero demolito la rispettabilità della giustizia, e neanche oggi lo si fa. La stessa Commissione parlamentare antimafia, com’è stato documentato, ha girato lo sguardo verso più confortanti terreni.

Foti, del resto, è stato assolto il 25 febbraio 1997, e nella sentenza si legge che le accuse a lui rivolte erano solo “un’enunciazione del capo d’imputazione cui si contrappone, più che un difetto di prova, l’assenza persino di una plausibile indicazione di episodi a essa riconducibile”. L’accusa, insomma, era meno di una chiacchiera, era il nulla del nulla. Ed il 18 marzo 1998, nel riconoscere a Foti il massimo risarcimento per la detenzione ingiustamente subita, la Corte d’appello di Messina lo aveva considerato “vittima di un sistema gestito in modo perverso e inadeguato da organi giudiziari non all’altezza dei loro compiti”. Ma se questo era vero, ed era vero, per Foti, e posto che quegli organi non si erano occupati solo di lui, cosa mai è accaduto in tutti gli altri casi? quante altre vittime ci sono fra persone che non hanno la competenza, la fermezza e la determinazione difensive di Foti?

Il 12 novembre 1997 il Consiglio Superiore della Magistratura reintegra Foti nella sua funzione, sottolineando che quella da lui vissuta è una “vicenda che ha colpito un magistrato impegnato in prima linea e che ha dimostrato come il fenomeno del pentitismo possa a volte costituire una mina vagante all’interno delle istituzioni giudiziarie”. Già, ma chi deve occuparsi di queste istituzioni, non sarà forse il CSM stesso? e, a giudizio dell’illustre organo di autogoverno, la mina è fastidiosa solo quando deflagra vicino ad un esponente della corporazione o se ne avvertono i mefitici miasmi anche a danno dei normali cittadini?

Ma c’è di più. Foti stesso c’informa, raccontandoci questa storia incredibilmente credibile, di avere inviato numerosi esposti al ministro della Giustizia, al Csm, al Procuratore generale della Cassazione, ai presidenti delle Commissioni giustizia di Camera e Senato così come alla Commissione parlamentare antimafia, senza che sia mai successo nulla, senza che gli abbiano mai risposto. Anzi, quando scoppia il caso Lembo e, inevitabilmente, sia il caso della procura messinese che quello sulla gestione dei pentiti, nessuno sente il bisogno di sentire Foti: scusi, ma cosa diavolo significano tutti quei suoi esposti? che, per caso, ha qualche cosa da dire?

Certo, alla fine Foti è stato assolto e reintegrato. Ma solo i fessi possono dire che la giustizia ha trionfato, quando, invece, è evidente che ha trionfato il deviazionismo giudiziario per via giudiziaria. Per sua e per nostra fortuna Foti non è tipo da tacere o da rassegnarsi. Sarebbe bene che la sua storia sia meglio conosciuta dai tanti, che, invece, si sono da tempo rassegnati a credere in una giustizia così male amministrata.

Condividi questo articolo