Di tanto in tanto salta fuori qualcuno a dire che si devono chiudere i conti con gli anni del terrorismo. Lo sostenne anche Francesco Cossiga, quando era presidente della Repubblica. Sull’altro piatto della bilancia, ad avversare un tale proponimento, si mettono i parenti delle vittime e la memoria delle vittime stesse. Così, la cosa, è assai male impostata.
Per rendersi conto di quanto sia enorme l’errore sarà sufficiente leggere le pagine scritte da Francesca Mambro, ed ora pubblicate da Sperling & Kupfer (“Il bacio sul muro”). Non sono le prime, per la verità. Ce ne sono già state altre, ed in particolare quelle scritte da Anna Laura Braghetti. Già, perché Mambro e Braghetti sono state due terroriste, tutte e due hanno ucciso. Una era fascista, l’altra comunista. Fra le due si è stretto un rapporto d’amicizia e di solidarietà semplicemente impensabile negli anni caldi in cui l’ubriacatura ideologica aveva tinto di sangue lo scontro politico (perché tutte e due queste donne, come i molti uomini e le molte donne che furono terroristi, facevano politica, interpretavano una lotta politica).
Quel rapporto è la vittoria della ragione, dell’umanità e, anche, una vittoria dello Stato. Certo, è anche una conseguenza del carcere, dei lunghi anni passati dietro le sbarre, della necessità di aiutarsi per non soccombere. Certo, ma Mambro e Braghetti sono due donne che non si sono piegate, che non hanno ceduto per debolezza, e se non avessero maturato, loro come molti altri, la ferma consapevolezza di avere sbagliato tutto, mai e poi mai sarebbero divenute amiche. Sostengono di avere sbagliato per illusione, per rabbia, per desiderio di cambiare il mondo, per una lettura folle delle cose del mondo. Ma certo sbagliarono tutto, e ne sono consapevoli. Di cosa altro c’è bisogno per dire che la guerra è finita e che a vincere è lo Stato?
Le vittime, i loro familiari, hanno diritto al massimo rispetto. Su questo Francesca Mambro è esemplarmente reticente. L’essere umano che ha ucciso può chiedere perdono ai familiari di chi è stato ucciso; questi possono perdonare, o no. Si tratta di una loro faccenda privata, privatissima, che è bene resti riservata. Ma lo Stato non esegue la pena per remunerare il danno arrecato ad un singolo (a molti, purtroppo), bensì per rimarginare una ferita inferta alla collettività. Come si fa a non prendere atto che, al di là dei privati e rispettabili sentimenti, quella ferita è oramai chiusa?
Semmai qualche cosa di aperto c’è, come nel caso di Francesca Mambro e di suo marito, Valerio Fioravanti, è qualche sentenza sbagliata. Nel loro caso sappiamo che, fra le altre pesantissime condanne, ne scontano una all’ergastolo per la strage di Bologna. Lo sappiamo, ma sappiamo anche che in quella sentenza non possiamo credere. Il fatto che la giustizia abbia fatto il suo corso, che la sentenza sia in giudicato, non ci dice nulla, ma proprio nulla, di quel che veramente accadde a Bologna. Questo sì che è un conto aperto. Ma è un conto che lo Stato ha con sé stesso.
Piuttosto che chiudere la partita chiudendo a vita queste persone, bisognerebbe sollecitarle ad aprire il più possibile (come molti hanno effettivamente fatto, ma come alcuni continuano a non fare) la loro storia e la loro esperienza alla pubblica riflessione, affinché sia chiaro, oltre ogni ragionevole dubbio, a quale follia può far giungere la lettura del mondo attraverso le lenti, falsamente lucide, dell’ideologia. Quei ragazzi (che tali erano) credettero veramente di essere nel giusto, ma lo credettero senza ragione e senza dubbio, finendo con il prodursi nei più mostruosi errori.
Ed oggi Francesca Mambro ci conduce anche in un mondo che i più ignorano, e vogliono ignorare: il mondo delle donne detenute. La “gente perbene” dovrebbe sapere, dovrebbe evitare di volgere altrove lo sguardo, autoassolvendosi con le condanne assegnate ad altri. Parliamo spesso del 41 bis, del regime di massima sicurezza cui vengono sottoposti i mafiosi. Ma cosa succede se al 41 bis finisce una madre? cosa capita a lei, ma, soprattutto, cosa capita al figlio?
E cosa capita a quei piccoli detenuti che sono i figli delle detenute? cosa capita ad un bambino che solo perché non più da svezzare viene privato della madre? Certo, la madre ha commesso dei reati, ha un debito da pagare. Ma siamo sicuri di non farlo pagare anche a chi, per definizione, è innocente? Non rimuoviamo queste domande definendole pietistiche, retoriche, melassose. Quelli posti sono problemi veri e reali, che possono essere affrontati non certo assicurando impunità a chi ha dei bambini, ma costruendo ed amministrando le carceri nella consapevolezza della loro esistenza.
Il carcere è duro, ma, si spera, anche meritato. Chi ha sbagliato deve pagare. Ma sarebbe un colossale errore credere che questo basti a giustificare le inumanità di cui il sistema penitenziario si rende protagonista.
Per questo la voce di Francesca Mambro è utile. Perché noi tutti siamo certi, come ella stessa, delle sue colpe. E questa certezza ci aiuta ad ascoltare e comprendere le ragioni di cui si fa portavoce.