Giustizia

Frullato Paciotti

Frullato Paciotti

Elena Paciotti, già presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati ed ora parlamentare europea eletta nelle liste dei Democratici di Sinistra, scrive di cose che conosce: i magistrati (Sui magistrati – Editori Laterza). La prima pagina è colma di buoni propositi: l’editore ha chiesto all’autrice d’essere chiara nell’esposizione (l’idea del “linguaggio semplice” è tipica di quelli che credono di avere un pensiero vasto e complesso), e l’autrice spera di non essere faziosa. Speranze deluse.

Il tono didattico didascalico del saggio suggerisce all’autrice di evitare ogni tipo di tecnicismo, ed in ciò, probabilmente, risiede la speranza di chiarezza. Ma un linguaggio è chiaro non quando “si parla come si mangia”, bensì quando serve a rendere comprensibili pensieri che non siano a loro volta contorti e distorti. Esempio: il segreto istruttorio. Secondo la Paciotti il segreto istruttorio serve a tutelare le indagini, ad evitare che gli indagati scappino o siano facilitati dalle fughe di notizie. Quando questi pericoli non ricorrono si può bene fare a meno del segreto. A questo punto il lettore pensa al fatto che, con il segreto, si tutela anche l’onorabilità di cittadini innocenti, che non meritano di essere sbattuti in prima pagina solo perché un pm si è messo in testa che sono colpevoli. La Paciotti lo sa, e provvede: cita il problema, dice che certi valori vanno tutelati, ma poi fa un bel frullato di parole dal quale emerge che le conferenze stampa dei pm, che danno per colpevoli gli indagati, sono lecitissime, dato che c’è un “interesse pubblico che lo giustifica”. Addio chiarezza.

Ma c’è un secondo esempio, ancor più pesante: Giovanni Falcone. La dottoressa e neo onorevole Paciotti, schernendosi giusto un pochettino, è prodiga di riconoscimenti ai propri meriti. Giusto, la falsa modestia è fastidiosa. Ma sulla vicenda di Giovanni Falcone non ce la conta giusta, e, per la precisione, non ce la conta proprio. Già, perché la dottoressa Paciotti votò contro, e fu determinante, fustrando la speranza di Giovanni Falcone di assumere l’incarico di capo dell’ufficio istruzione di Palermo, preferendogli Antonino Meli, per meriti di anzianità. Butta storia, vero? Roba che non si vorrebbe raccontare ai nipotini. Ma la dottoressa Paciotti fa di più, senza dirci quel che fece tenta di dimostrarci che aveva ragione portandoci per mano dentro il melassoso tema dei gradi, dei livelli e degli incarichi, nel quale tutte le burocrazie del mondo si rotolano. Anche questa volta, addio chiarezza. Salvo una domanda: ma, secondo lei, queste cose Falcone non le sapeva? Perché aspirava ad un posto che, a suo dire, sarebbe stato sciocco pretendere? Eppure Falcone quei meccanismi li conosceva, c’era cresciuto dentro, perché oggi ci si vuol far credere che a lui non fosse chiaro quel che poco chiaramente si tenta di spiegarci (e farci credere)?

Questi anni di inquisizione perpetua ci hanno insegnato il galateo del buon inquisito, il quale deve dire: mi ritengo innocente, ma ho fiducia nella giustizia. In effetti ciò è esattamente quel che penso, dato che sarebbe assai peggiore un paese in cui non si eserciti l’azione penale. Ma non la pensa così, la dottoressa Paciotti. O, meglio, la pensa così quando vengono inquisiti gli altri, meno quando s’indaga sugli amici. Leggere per credere: ” … le ispezioni a carico della procura della repubblica di Milano, più volte disposte dal ministro della Giustizia su sollecitazione di imputati di ?tangentopoli’, hanno dato luogo a iniziative disciplinari contro alcuni magistrati totalmente pretestuose e infondate”. Ohibò, la penna dell’autrice doveva proprio fremere di rabbia se si è lasciata sfuggire tante belle perle, dal rifiuto dell’azione disciplinare all’insulto ai ministri. Ma la più bella è quel “su sollecitazione di imputati”. Lasciamo perdere la presunzione di innocenza (finezza eccessiva), ma il fatto è che una frase simile messa in bocca a chi non direbbe mai che l’azione penale è stata sollecitata al pm da un assassino (leggi pentito) finisce con l’essere esilarante. E, comunque, addio anche al proposito di non essere faziosa.

A proposito di pentiti, qualcuno faccia notare alla dottoressa Paciotti che il principio dell’oralità e del contraddittorio, cui l’accusatore non può sottrarsi, è già parte dell’ordinamento italiano, oltre che delle convenzioni europee dall’Italia firmate. Il fatto che a lei paia “incongruo”, ci perdonerà, ma è del tutto irrilevante.

Adesso la dottoressa Paciotti è onorevole. Una parlamentare europea di sinistra, dopo anni di militanza nella corrente di sinistra dei magistrati. Un esempio di coerenza che andrebbe imitato, un dato di serietà che umilia certi saltafossi. Quel che non si capisce è perché si offenda se le si dà della rossa. Non sono mai stato comunista, ma nel comunismo italiano penso ci siano stati molti errori (questa è un’opinione politica), ma nulla di disonorevole, d’infamante. Perché quelli che sono stati comunisti la pensano diversamente?

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