Giustizia

Garantisti a Cogne

Garantisti a Cogne

Fa uno strano effetto veder le proprie parole sulla bocca altrui, oramai destinate a significare cosa diversa. Parole che pronunciammo in una solitudire resa non assoluta dalla presenza di qualche testa non appecoronata, e che oggi, al contrario, straripano dai giornali.

“Non si mettono le mani su un’innocente”; “non si arresta senza indizi e senza che ricorrano i tre motivi previsti dal codice”; “non si può indicare il colpevole nel semplice accusato, in colui che non ha mai avuto un processo nel quale difendersi”. Cose giustissime, le dicemmo noi, polemizzando pesantemente con la magistratura esibizionista e deviata, nonché con le debolezze politiche che non ebbero il fegato di denunciare l’evidenza, cose che oggi si ripetono a proposito della vicenda di Cogne (dove ad un bimbo è stato fracassato il cranio, non si sa da chi). E qui storciamo la bocca. Già, perché chi ieri festeggiava gli arresti e li considerava condanne sembra oggi voler vivere in un mondo ove non esistano arresti, se non di sicuri colpevoli. Quel mondo non esiste.

Nel merito di questa triste faccenda non entro. Mi pare già disgustoso e riprovevole che altri lo facciano. Ritirerei volentieri il diritto ad esercitar la professione (che non sia quella dei ciarlatani) alla folta schiera di psicologi, ed altri improbabili mal laureati criminologi, che si son dilungati su cose di cui non sanno un accidente. Ma sul metodo si, sul metodo è giusto soffermarsi. Intanto per dire che l’avvocato Taormina farebbe bene a far sbollire le sue esuberanze, che l’esibizionismo, alla lunga, è una triste decadenza, che farsi pubblicità usando una disgrazia non è il massimo della raffinatezza.

Su quell’omicidio la procura ha indagato, basandosi prevalentemente sui rilievi dei carabinieri. Se siano giusti o sbagliati non lo so e non sono in grado di saperlo, so, però, che il giudice delle indagini preliminari ha voluto analizzarli con calma ed attenzione, giungendo alla conclusione che fosse giusto emettere un mandato di cattura. In tempi brevi quell’arresto è giunto all’esame del Tribunale della libertà, che ha valutato le cose in modo diverso e scarcerato chi il gip aveva arrestato. Ecco, inutile perdersi in giri di parole: questa è la fisiologia della giustizia umana. Anche una sola ora di carcere è una violenza per un innocente, ma le nostre leggi, e non potrebbe essere diversamente, parlando di “custodia cautelare” parlano, appunto, di presunti innocenti in galera. La patologia scatta non con le manette, ma con due terribili degenerazioni: a. i tempi lunghi della giustizia, che tengono un presunto innocente in un intollerabile limbo; b. l’attenzione morbosa di un sistema dell’informazione alla ricerca di lucro. Fin qui il dramma di Cogne non ha subito la prima cosa, ed il tutto si è svolto con accettabile celerità. E’, invece, stato sommerso dalla seconda. Il che riguarda i giornalisti e la qualità del loro pubblico, non la giustizia.

Detto questo, naturalmente, non ho alcun elemento per escludere che siano stati commessi errori nel corso delle indagini, da cui sono poi nati altri errori. Ma non è ragionevole pensare che la giustizia possa essere amministrata senza errori. E’ il rispetto delle procedure a garantire che gli eventuali errori non si traducano in tragedie. Qui le procedure sono state rispettate. Ebbene, leggete i nomi di chi firma gli articoli contro la magistratura che ha gestito questa faccenda, cercate di ricordare quanti, appena ieri, ritenevano le procedure una mera scusa per evitare il giusto sopraggiungere della condanna di piazza, quanti volevano zittire i presunti innocenti chiamandoli “inquisiti” e facendo seguire a tale definizione un vomito di condanne preventive. Fatelo, e vi accorgerete che sono le stesse persone. Ignoranti del diritto e dei diritti ieri come oggi. Oggi come ieri alla sola ricerca della personale pagnotta.

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