Giustizia

Giudice venduto

Giudice venduto

Il prelevamento e la consegna di Alma Shalabayeva e sua figlia (una bambina di soli sei anni) ai servizi del Kazakistan, già ci è costata una figura a dir poco imbarazzante. Da una parte le nostre autorità collaborarono a quella che era una deportazione illegittima, visto che il marito della signora e padre della piccola era un rifugiato, quindi le due avevano diritto all’asilo politico, dall’altra dovette muoversi il ministro degli esteri, cercando di rimediare e ottenendo garanzie per l’incolumità delle due persone. Pessima scena. Ma il peggio si scopre adesso.

Allora (maggio del 2013) saltò solo la testolina del capo di gabinetto del ministro dell’Interno, lasciando il suo datore di lavoro a dir cose non molto sensate, davanti al Parlamento. Ora, però, dalle carte dell’inchiesta penale, che si svolge a Perugia proprio perché possono esserci responsabilità in capo ai magistrati di Roma, apprendiamo che il giudice di pace, ovvero la persona che convalidò il provvedimento d’espulsione, era consapevole dell’illegittimità dell’atto e dell’intera operazione, non verbalizzò le richieste dei difensori e diete per esistente un passaggio al tribunale dei minori, che, invece, non c’era mai stato. Il tutto, dice il giudice in una telefonata intercettata, perché così “non ho sputtanato nessuno”, “i panni sporchi si lavano in casa”, “hanno pagato il mio silenzio”. Ed è proprio questo l’aspetto più grave: la malagiustizia.

Il processo chiarirà quanti dei funzionari e magistrati coinvolti siano stati raggirati e quanti, invece, consapevolmente partecipi della porcheria, ma le parole di quel giudice (il cui nome è noto ma non riproduco, non certo per rispetto della privacy, ma perché è irrilevante: ella non è nessuno, proprio per questo è un problema di tutti) mettono in evidenza una collusione che dovrebbe portare all’immediata demolizione di quegli uffici. E forse non solo di quelli.

In questi giorni discutiamo dell’equilibrio fra sicurezza e diritto, fra la prevenzione di atti violenti e la preservazione dei diritti individuali. Un equilibrio non facile, ma poi neanche così complicato, basandosi sull’opportunità di intercettare e spiare, in modo da conoscere quel che succede in certi ambienti, lasciando intatta la possibilità di ciascuno di rivolgersi a un giudice, per vedere tutelati i propri diritti. Tutto questo, però, va a farsi benedire se abbiamo giudici di tal fatta, gente che si fa comprare (fosse anche solo per amicizia), che è avvicinabile, che deve far carriera, che passa le carte alla stampa. La questione morale presso i magistrati è oramai cronaca quotidiana: chi si vende le sentenze, chi rufola fra i beni sequestrati, chi lava i panni sporchi. Niente da dire, dalle parti del Consiglio superiore della magistratura? Che tale organismo sia, da molti anni, largamente inadempiente ai propri doveri è cosa che conosciamo bene e scriviamo ripetutamente, ma il silenzio innanzi allo scempio, coperto con brodini tiepidi, ottenuti sobbollendo il dado scipito di trasferimenti, sospensioni e ammonizioni, meriterebbe un occhio severo, dalle parti del Quirinale. Dove siede il presidente del Csm.

Se, come invece capita, si lascia tutto alla sede penale, quindi ammettendo l’incapacità di amministrare e punire nella sede preposta, si ottiene uno spettacolo sconfortante, con numerosi magistrati portati alla sbarra perché siano giudicati dai loro colleghi. Una perversione che non si riesce a spezzare perché non si vuole farlo, per viltà politica e incapacità di comprenderne l’enorme peso corruttivo. La stessa viltà che continua a lasciare chi scrive di queste cose nelle mani dei colleghi dei querelanti. Noi non ci ridurranno al silenzio, ma la politica è già stata silenziata. A destra e a sinistra, fra gli innovatori e fra i conservatori, del resto presenti nei medesimi governi. Tutti a biascicare nenie abbioccanti, su riforme che non riformano, semmai s’arrendono allo sformarsi della giustizia.

Pubblicato da Libero

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