Si ha, sempre di più, l’impressione di vivere fra i marziani. La mancanza d’iniziativa riformista da parte del governo; la cecità giustizialista dell’opposizione; la cattiva coscienza di tutti, hanno reso impossibile un serio confronto sulla giustizia.
La quale giustizia affonda sempre di più in un’inefficienza che la rende eguale al suo opposto.
La Camera ha varato il disegno di legge che amplia la possibilità di patteggiare la pena: da un massimo di due anni ad uno di cinque anni. Ma perché deve esserci un limite? Perché non si possono patteggiare vent’anni? Anche il peggiore dei delinquenti può essere premiato se risparmia alla giustizia il tempo ed il costo di un processo: ammette il reato e patteggia la pena. Patteggiare mica deve essere sinonimo di non scontare. All’opposto, patteggiando, lo Stato ha la certezza della pena inflitta, senza incorrere negli orrori degli assassini scarcerati per decorrenza dei termini, dato che i tempi processuali sono incerti e lunghissimi.
La norma approvata alla Camera, che ora passa al Senato. Può essere applicata anche per i processi in corso. E non vedo lo scandalo. Se un imputato intende patteggiare, avvalendosi della futura nuova norma, il procedimento si sospende per quarantacinque giorni. Il che è del tutto ovvio, visto che è il tempo necessario per il patteggiamento. Che si dovrebbe fare, invece, mandare avanti a tappe forzate un processo nel mentre accusa e difesa hanno deciso di non consentirne la fine? E qui c’è chi grida allo scandalo: bloccare i processi per quarantacinque giorni è un attentato, oltre tutto sarebbe un favore al solito Previti. Chi sostiene questo o è marziano o è scemo.
Rispetto ai tempi medi della giustizia italiana quarantacinque giorni sono un niente. Perché gli scandalizzati di oggi non fanno sentire la loro morale riprovazione per magistrati che fanno decorrere tutti, dicasi tutti i termini previsti dai codici: dalla richieta di rinvio a giudizio fino alla motivazione delle sentenze? Eppure, in questi casi, i giorni che si perdono si contano a centinaia, quando non a migliaia. Si facciano quattro conti per verificare quanti reati cadono in prescrizione sol perché occorrono mesi ed anni per avere le motivazioni della prima sentenza, e, quindi, avviare il ricorso? Se ne scoprirebbero delle belle.
E, poi, che c’entra Previti? Intanto egli afferma di essere innocente e non ha alcuna intenzione di patteggiare. Ma, a parte questo, è da analfabeti sostenere che quei quarantacinque giorni potrebbero essergli utili per guadagnare la prescrizione: il processo che attualmente si tiene a Milano è solo un primo grado; immagino che, in caso di condanna, l’imputato intenda ricorrere; pendente un ipotetico ricorso, quindi un nuovo processo, quei quarantacinque giorni sono un’inezia, rispetto al tempo che occorrerà per concludere. Quindi, chi lo sostiene parla a vanvera.
Piuttosto, chi pensava che il governo di centro destra fosse una specie di commandos anti magistrati dovrà pur prendere atto che gli avvocati penalisti protestano e scioperano contro il governo. Ed hanno ragione di protestare, perché, pur fra i dissennati schiamazzi dell’opposizione, il governo è gravemente inadempiente, sul fronte giustizia. Fin qui si sono fatte poche cose, non sbagliate, ma destinate quasi esclusivamente ad alimentare le polemiche. La politica riformista non si è vista, un progetto credibile non è stato presentato, il tempo passa e la giustizia affonda.