Giustizia

Gli emeriti

Gli emeriti

Non è bello vedere la corte Costituzionale sbeffeggiare la Costituzione. Che pena chi commenta la nomina del nuovo presidente, Gaetano Silvestri, ponendo l’accento sulla spaccatura di quel consesso, senza capire (o dire) il perché. La previdi alla fine del gennaio scorso. Sono anni che non sbaglio previsione, basandomi su un criterio certo: i giudici costituzionali violano sistematicamente la Costituzione. A gennaio mi trovai in dubbio, perché avevano due modi per violarla: eleggere Gaetano Silvestri o eleggere Luigi Mazzella. Il fatto che il secondo sia stato indicato dal centro destra ha forse avuto un peso, ma nessuno dei due rispetta la Carta. Il successore di Silvestri sarà Sabino Cassese o Giuseppe Tesauro. Dopo sarà la volta di Paolo Maria Napolitano. E potrei andare avanti, salvo che non vorrei portare sfortuna, data l’età media. Adesso vi svelo il trucco, come anche la ragione del dilemma.

L’alto consesso ha il ruolo di uniformare alla Costituzione le leggi d’Italia. Se una legge non fa scopa con il dettato costituzionale va abrogata. Ma mentre richiama gli altri al rispetto della Costituzione, la corte ne fa coriandoli, pur di eleggere il più alto numero possibile di presidenti e mettere al mondo, dopo la fine del mandato e salute aiutando, il più alto numero possibile di presidenti emeriti.

Leggiamo l’articolo 135 della Costituzione, quinto comma: “La Corte elegge tra i suoi componenti (…) il presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile (…)”. Non c’è scritto che rimane in carica “un massimo di” o “fino a” tre anni, ma che presiede per un triennio, rinnovabile. Quindi si deve eleggere chi ha quel tempo a disposizione. E così è stato, fino alla seconda metà degli anni ottanta. Poi s’avviò il disfacimento. Azzecco le previsioni perché mi limito a guardare la data in cui sono stati nominati, calcolo chi è il più vicino alla scadenza e non sbaglio mai. Io non sbaglio mai perché loro sbagliano sempre. Perché questa volta si sono divisi? Qual è stato il tema dibattuto? E perché sono indeciso fra due, per la prossima volta? Ecco la spiegazione: perché Silvestri e Mazzella, come Cassese e Tesauro, sono stati nominati lo stesso giorno. Gli illustrissimi giudici hanno applicato sempre lo stesso criterio incostituzionale, ma non hanno potuto farlo come fin qui solo perché c’era stato un parto gemellare. Direi che: tanto più alto il consesso tanta più alta la vergogna.

Siccome ho scoperto di non sbagliare mai, ogni volta, come anche questa, anticipo i risultati, proiettandomi anche nel futuro non prossimo. E ogni volta aggiungo che è una vergogna. L’unico che ebbe l’ardire di rispondere fu Giovanni Maria Flick: è vero, scrisse, la Carta prevede tre anni, ma la prassi è diversa. La prassi? Ma allora smettiamola di pagare il costo del sinedrio, se anche quello si regola affidandosi alla prassi! Il che, poi, non è neanche vero. Questi signori credono che si sia tutti ignoranti, invece c’è anche qualche matto che studia. Si deve sapere che nel testo originario della Costituzione, entrato in vigore il primo gennaio 1948, c’era scritto solo: “La Corte elegge il presidente fra i suoi membri”. Quell’articolo fu modificato con una legge costituzionale del 22 novembre 1967, introducendo la durata di tre anni e la possibile rieleggibilità, salva la scadenza del mandato. Tradotto: il presidente dura tre anni, può essere rieletto, ma, in questo caso, non prolunga la durata del suo mandato di giudice (originariamente di dodici anni, poi portati a nove). Sfido chiunque a sostenere il contrario. Con o senza cattedra.

Ogni volta che queste sveltine presidenziali iniziano, inoltre, viene immediatamente diffuso il sermone contenete le idee nel nuovo presidente, che sarà emerito assai presto. Ma non idee sui lavori della corte, organizzare nel tempo i quali è materia che lo interessa poco, visto che si trova lì già da otto anni e s’appresta a salutare i colleghi per ricongiungersi all’emerita pensione, bensì sulle cose del mondo e della politica. E sono pensieri pensosi, perché può sempre scapparci un posto da ministro. Quanto meno da saggio, che è abito assai alla moda nella stagione di questo autunno della Repubblica. L’eccezione, ancora una volta, è stato l’ottimo Flick, che fece il candidato al Parlamento. Gli elettori non gli fecero torto e non lo elessero, lasciandolo emerito.

La corte Costituzionale, purtroppo, è lo specchio di un Paese senza certezza del diritto, le cui regole sono sottoposte alla continua triturazione dell’interpretazione. Con in più l’arrogante spocchia di voler sostenere che il senso non è quel che si legge, ma quel che si deve intendere.

Pubblicato da Il Tempo

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