Giustizia

I lodi al pettine

I lodi al pettine

E’ cominciata la settimana giudiziaria, che culminerà nella sentenza costituzionale sul lodo Alfano. Per ora la botta a Berlusconi, micidiale, arriva dal tribunale civile di Milano, che ha condannato la Finivest a risarcire la Cir, di Carlo De Benedetti, per 750 milioni di euro. La storia dissemina le date in modo sapiente, talora malizioso, sicché, mentre i giornalisti che lavorano per la Cir reclamavano, in piazza, il rispetto della loro libertà, una sentenza immediatamente esecutiva dinamitava la struttura finanziaria di un editore concorrente. Le date, appunto, sono il vero succo di questa vicenda.
Oggi De Benedetti può ben cantare vittoria e può ben dire che le sentenze gli danno ragione. Vale per la condanna penale, che colpì Cesare Previti, colpevole di avere corrotto un magistrato, ed il giudice Vittorio Metta, colpevole d’essersi fatto corrompere, e vale per la condanna civile, che ora quantifica in 750 milioni il danno patrimoniale subito da Cir, in conseguenza di quella corruzione, mentre demanda ad altro giudice la quantificazione dei danni non patrimoniali. La corruzione servì a ribaltare il lodo Mondadori, con il quale il controllo della casa editrice era stato assegnato a De Benedetti, mentre l’odierna sentenza ristora una parte del danno da questi subito.
La sentenza penale riguardò l’allora avvocato di Fininvest, mentre quella civile riguarda due aziende, nelle quali Silvio Berlusconi non ha, oggi, incarichi e poteri. Si può sostenere, pertanto, che nessuna delle due lo riguardi. Ma sarebbe un ragionare da azzeccagarbugli, perché, nella sostanza, si riferiscono ad attività messe in atto quando egli era il capo indiscusso delle sue società. Quindi, non basterà far spallucce.
Di converso, però, egli stesso è ancora in attesa di giudizio, pertanto da considerarsi, come tutti quelli nelle sue condizioni, un innocente. E la sentenza civile, che oggi squassa Fininvest, è pur sempre una sentenza di primo grado, che certamente sarà appellata. Allora, torniamo alle date: stiamo parlando di fatti risalenti a venti anni fa! La giustizia civile ha atteso quella penale, che ha proceduto con la consueta lentezza e la consueta contraddittorietà (gli imputati furono assolti, ma la Cassazione annullò tutto ed impose un secondo giudizio d’appello). Una parte della giustizia penale è ferma, invece, proprio perché bloccata dal lodo Alfano. I tempi sono così lunghi che dall’epoca dei fatti ad oggi Berlusconi ha fatto in tempo a presiedere tre volte il governo e perdere due volte le elezioni. Dal che discende che se avesse subordinato, come molti gli hanno chiesto, la sua vita pubblica alla risoluzione delle controversie giudiziarie avrebbe dovuto rinunciare alla prima, al punto che la storia d’Italia sarebbe stata diversa, e scritta più dai magistrati che dai cittadini elettori. Al tempo stesso, però, come si dimostra in queste ore, il blocco dei procedimenti che direttamente lo riguardano lo difende personalmente, ma non impedisce affatto che le carte tribunalizie sommergano quelle politiche.
E’ un problema dal quale non usciremo mai mettendoci pezze ed attrezzando scudi, perché la patologia giudiziaria va curata in modo diretto, facendo funzionare in modo degno la giustizia. (Aggiungo, fra parentesi, che la politica dovrebbe avere il buon cuore di non pasticciare, e non si può, come ha fatto Gianfranco Fini, prima votare il lodo Alfano e poi annunciare di rinunciarci personalmente, perché ha un senso che esista solo se difende le cariche istituzionali, mentre è bene cancellarlo se lo si vive come un salvacondotto ad uso privato).
Ma non ci sono solo conseguenze politiche, si devono mettere nel conto anche quelle economiche e societarie. La sentenza civile avrà effetti dirompenti, peserà nel mercato, distorcerà la competizione, parlerà a risparmiatori ed investitori. Né si può chiedere, ovviamente, che non s’emettano sentenze solo per non disturbare chi è impegnato a far quattrini. No, si deve chiedere l’esatto opposto: perché siamo a venti anni dai fatti e questa è solo una sentenza di primo grado. Si mette a soqquadro il mercato, ma la partita giudiziaria è ancora aperta. Questo è il male.
Di questa sentenza parleranno tutti, soprattutto per i risvolti politici. Ma le aziende a bagno maria giudiziario, in Italia, sono migliaia, nella totale incertezza della loro sorte. Di questo nessuno si occupa, di questa violenza al mercato nessuno sembra accorgersi, preferendo utilizzare i procedimenti come arma di ricatto. Per la gioia, come sempre, dei colpevoli.

Condividi questo articolo