Giustizia

Il lamento della delegittimazione

Il lamento della delegittimazione

“Delegittimazione” è la parola magica, la chiave che apre e chiude i documenti politici dell’Associazione Nazionale Magistrati, che, a scanso d’equivoci, è un sindacato e non un’istituzione. Basta che si critichi questo o quell’operato della magistratura e subito scatta il riflesso condizionato: state delegittimando la

giustizia. A ben vedere, però, non ce n’è gran bisogno, giacché spesso provvede da sé sola.
Il quadro generale è sconfortante. La nostra è la peggiore giustizia del mondo civile, come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo continua a ricordarci. Due giorni fa è morto, in carcere a Pavia, un tunisino che faceva lo sciopero della sete e della fame: Sami Mbark Ben Gargi. Sosteneva d’essere innocente, ma non è rilevante. Quel che conta è che se ne stava in carcere da tre anni, senza una condanna definitiva, che avrebbe giustificato la pena. Sami era in carcere da presunto innocente, condannato in due gradi di giudizio, ma ancora “ricorrente”. Mentre Sami moriva i giudici, che avrebbero dovuto esaminare il ricorso, erano (e sono) in vacanza. Ne fanno quanto gli scolaretti, senza neanche i compiti estivi. Ma, evidentemente, questo non lo trovano delegittimante.
Anche nello specifico, però, c’è da riflettere. Berlusconi ha lamentato la possibilità che dalle procure antimafia sia in arrivo qualche polpetta avvelenata, l’Anm ha subito replicato stracciandosi le vesti per gli eroici procuratori che combattono contro il crimine organizzato, assetati di verità processuale. Anche noi sentiamo la stessa arsura, e molti conti non ci tornano.
Per la strage di via D’Amelio, dove fu ucciso Paolo Borsellino, la procura sostenne una tesi, avallata dai verdetti. Abbiamo una verità processuale, solo che è falsa, hanno sbagliato tutto. Un pentito, Gaspare Spatuzza, ha raccontato come sono andate le cose, non solo smentendo il pentito precedente, Vincenzo Scarantino, che era stato preso come un oracolo, ma dimostrando che c’è voluta tanta buona volontà per credergli. Gli eroici procuratori, nel migliore dei casi, in compagnia dei tribunali, s’erano fatti menare per il naso. La cosa singolare è che una volta scoperta la nuova verità, si pretende di appiccicarle addosso i medesimi teoremi che, grazie alla vecchia, s’erano fatti circolare.
E non basta. Si continua ad indagare sulla presunta “trattativa” fra la mafia e lo Stato, chiamando in causa Berlusconi che, all’epoca dei fatti, non aveva titolo a trattare per conto di nessuno Stato. Intanto si cerca di dimenticare che l’uomo dei contatti strani c’è già, è Luciano Violante. E’ lui che, dopo una vita passata a discettare su contiguità e frequentazioni, alla sola notizia che potessero arrivare carte di Vito Ciancimino è corso in procura, con tre lustri di ritardo, a dire: adesso che ricordo, mi chiese un incontro (o Violante lo chiese a lui). E fosse solo quello, perché gli mandò anche l’anteprima di un suo libro (sulla mafia, naturalmente). Ed a cosa portarono le stragi di mafia? Prima fu eletto Oscar Luigi Scalfaro alla Presidenza della Repubblica e poi …. E’ una storia ancora tutta da scrivere.
A noi rimane la gola secca, assetata di verità. Ci piacerebbe pensare ad una magistratura che la cerca, con professionalità, piuttosto che a procure nelle mani dei pentiti e pentiti nelle mani delle procure, salvo lanciare l’anatema della delegittimazione ogni volta che i fatti fanno a cazzotti con i teoremi.

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