Giustizia

Il programma di Borrelli

Il programma di Borrelli

Letto “un programma per la giustizia”, redatto da Francesco Saverio Borrelli e pubblicato da MicroMega, constato, con viva soddisfazione, non pochi punti di convergenza, tanto nell’analisi politica quanto nella declinazione d’alcune proposte specifiche.

Il che dimostra che se il dibattito fosse animato dal confrontarsi di tesi, benché diverse, piuttosto che dal gareggiare in battute, ne trarrebbe giovamento la vita politica e civile.
Ho più volte sostenuto che, a dispetto delle apparenze, l’attuale maggioranza di governo, come, del resto, anche quella che la precedeva, lungi dall’essere antagonista del manipulitismo né è un frutto. Mi conforta leggere che anche Borrelli la pensa allo stesso modo, quantunque coltivando sentimenti diversi. Ciò che l’ex procuratore generale di Milano, a suo tempo capo della Procura, lamenta è l’ingratitudine. Con impareggiabili parole: “origina anche dalla retrospettiva gestione storiografica d’affari che, senza pudore alcuno per acrobatiche virate di giudizio, senza memoria per le accensioni d’entusiasmo di un decennio addietro, senza gratitudine per le fluttuazioni della storia che li hanno portati al potere, molti settori del cosiddetto Polo delle libertà hanno intrapreso quanto alla classe politica della Prima Repubblica riabilitando personaggi ?..”. E’ bellissimo, lo dice con parole che trasudano una faticata cultura, e che noi stradaioli potremmo tradurre come segue: ma guarda questi disgraziati, pure ingrati, che oggi vorrebbero disconoscere il fatto che siamo stati noi a spianare loro la strada; guarda questi voltagabbana, che prima ci applaudono, e poi ci dimenticano. Ed ha ragione Borrelli, accipicchia. Certo, una volta lo spodestamento di un mondo politico liberamente e democraticamente eletto, effettuato per mano di uno dei corpi dello Stato, si sarebbe potuto chiamare colpo di Stato. Ma una volta costatata la convergenza delle analisi, non è il caso di stare a sofisticare.
Borrelli propone una serie di provvedimenti tesi ad impedire che il processo penale si trasformi in un melassoso cavillare, teso solo a far perdere del tempo. Ed anche in questo la pensiamo allo stesso modo. Egli si preoccupa, ad esempio, delle modalità di notifica e dell’archiviazione degli atti. Più che giusto. Se posso, nel mio piccolo, dare un contributo, aggiungerei anche il rispetto delle leggi vigenti. Così, tanto per far finta che abbiano un valore. La durata delle indagini preliminari, difatti, non è indeterminatamente eterna, come tendono a credere non pochi procuratori, ed alla fine delle suddette si procede all’archiviazione od alla richiesta di rinvio a giudizio, non ad una pluriennale meditazione degli atti raccolti. Così, con il semplice rispetto della legge scritta, si sveltisce alquanto il procedimento. Sono sicuro che Borrelli non lo ha scritto sol perché lo considera ovvio. Ed anche questa volta ha ragione.
In compenso ci regala un ulteriore periodo di soave severità: “Va da sé che capi e consigli giudiziari dovrebbero svolgere un controllo assiduo sulla produttività dei colleghi; e che alcune larghezze attualmente usufruite, come per esempio la durata delle ferie annuali e la rarefazione degli impegni in prossimità delle festività tradizionali, andrebbero prudentemente rivedute”. E qui, lo ammetto, mi sento un verme. Perché lo scrissi in modo incomparabilmente diverso: i magistrati lavorano poco, arrivano in ufficio quando pare a loro, ed hanno più vacanze di un bimbo che frequenta le elementari. Come vedete, un abisso: di stile, di significanza, financo di punteggiatura. Ed ancora una volta la bilancia pende a favore di Borrelli.
Mi permetterò solo un’integrazione al punto undicesimo (sono quattordici in tutto), laddove il programmista suggerisce che i termini della prescrizione si arrestino una volta vi sia stato il “promovimento dell’azione”. Ecco, qui aggiungerei, come postilla, l’uscita dell’Italia dal Consiglio d’Europa e dall’Unione Europea, dacché tale proponimento, in sé destinato ad evitare che i togati perdano il loro già poco tempo nell’inquisire chi sarà prescritto dopo una decina d’anni di processo, contrasta irrimediabilmente con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, richiamata nel trattato di Amsterdam. Ed avendo ragione Borrelli, va da sé che a sbagliare sia la Convenzione.
Nell’aderire a tale programma, manifesto anche il vivo compiacimento per il fatto che diversi suoi capitoli (dalla riforma delle forze dell’ordine alla lotta contro la mafia, fino a ciò che riguarda gli istituti di pena) siano stati redatti da magistrati attualmente in servizio. Non solo ciò dimostra che il loro tempo libero è stato messo al servizio della collettività, ma testimonia anche che nulla va sprecato della migliore riflessione istituzionale, di scuola aretina e non.
Infine, trovo encomiabile che i soldi delle Ferrovie dello Stato, dell’Alitalia, della Ominitel e della Banca Popolare di Milano, tutti soggetti legati a rapporti con lo Stato, quando non dallo Stato direttamente posseduti, siano stati spesi per contribuire alla pubblicazione di queste preziose pagine. Una volta, forse, concorrevano a finanziare la politica, e non v’è chi non veda il salto di qualità.

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