Qualche anima candida potrebbe rallegrarsi per come sono andate le cose nel caso di Geri, il giovane accusato di essere il telefonista delle nuove Brigate Rosse. Noi stessi, se fossimo anime candide, dovremmo rallegrarci, visto che scrivemmo i nostri dubbi circa la solidità dell’accusa. In fondo Geri è stato arrestato, ma anche velocemente liberato.
Invece no, le cose sono andate malissimo, peggio di come le si vuol raccontare. Questo a prescindere dall’oscura vicenda delle fughe di notizie, dei conflitti fra investigatori e dalle presunte responsabilità politiche.
Il male sta nel fatto che a chiedere la scarcerazione di Geri è stata la procura della Repubblica, accortasi del fatto che le accuse non stavano in piedi. Il giudice delle indagini preliminari, che aveva spiccato il mandato di cattura copiandone i presupposti dalle carte della procura, adesso firma la scarcerazione copiandone le motivazioni dalle carte della medesima procura. Insomma, ancora un volta risulta evidente la debolezza strutturale, l’inconsistenza funzionale del giudice delle indagini preliminari. Il quale dovrebbe controllare le carte presentate dall’accusa, mentre, invece, non controlla un bel nulla, e quelle carte si limita a passarle.
Non solo dispose l’arresto di Geri, ma, poi, per convalidarlo, come la legge prevede, interrogò il detenuto. Il quale, come è ovvio, disse al gip le stesse cose che avrebbe detto ai pubblici ministeri: non c’entro nulla. I pm, dopo qualche giorno, si sono convinti di avere preso un granchio, il gip, invece, per accorgersene ha avuto bisogno che i colleghi dell’accusa gli suonassero la sveglia. E’ appena il caso di osservare che le cose dovrebbero andare all’opposto.
Non basta. Nell’ordinanza di scarcerazione il gip scrive che l’alibi dell’imputato ha delle lacune. Un gip così andrebbe premiato ed eretto a simbolo di cosa non si dovrebbe non solo scrivere, ma neanche pensare. Egli, difatti, ha dimenticato che esiste la presunzione d’innocenza e che l’onere della prova spetta all’accusa. Non solo il mio alibi potrebbe essere lacunoso, ma potrebbe non esistere affatto, senza che ciò dimostri un fico secco circa la mia colpevolezza. Perché quel che conta non è la solidità dell’alibi, bensì la solidità degli indizi in mano all’accusa. Se l’alibi era lacunoso, come definirebbe, il signor gip, la tesi d’accusa che ha così generosamente avallato e che gli accusatori si sono rimangiati?
Spiacente per le anime candide, ma questa non è una storia a lieto fine. A costo di rompere l’idilliaco clima da volemose bene (con l’imputato che dice di avere fiducia nella giustizia), credo valga la pena di ricordare che peggio di così, le cose, sarebbe stato difficile farle andare.