Non me lo merito, non c’è ragionevolezza nel fatto che avverta il bisogno di difendere Marco Travaglio. Il suo giustizialismo fascistoide, il suo pettegolezzo giudiziario, mi sempre hanno dato l’orticaria. Come tutti i giustizialisti, se ne frega della giustizia. Non si cura del fatto che è ben oltre la bancarotta, non si batte
perché i tribunali funzionino, non avverte il dramma degli innocenti. A lui interessa solo lo spettacolo delle accuse. Con il materiale prodotto dalle procure ha riempito articoli e libri, facendosi portavoce d’ogni ipotesi di reato ha costruito il suo successo televisivo. Grazie alla debolezza morale e culturale della sinistra è divenuto uno dei pifferai che l’ha condotta nel baratro dell’anti politica, praticata con la spocchia cieca di una dissennata e mal supposta superiorità.
Però, però … petrolinianamente parlando, la colpa non è mica solo sua. Lui non ha avuto orrore di sé, certo, ed è stato disonesto quanto basta per non prendere atto di tutte le volte che ha avuto torto, ma chi gli stava accanto, o piuttosto dietro, l’ha osannato nella speranza che servisse a vincere una partita che non si sentiva in grado di giocare politicamente. Le piazze contro il diritto non le ha mosse lui, che s’è gettato nell’orgia forcaiola per perduto amore di sé. E quando, oggi, dice che raccontare certe storie non può essere giusto se la sinistra le acclama e sbagliato se la sinistra s’è accorta che è meglio parlare d’altro, ha ragione. Così come ha ragione quando sostiene che il compito di chi scrive senza essersi preventivamente arruolato è proprio quello di toccare temi che altri giudicano scomodi, o sconvenienti.
Non lo leggo spesso, per ragioni igieniche, ma mi piace che scriva. Uno così deve anche parlare, ma è bene lo faccia avendo contraddittori all’altezza, senza conduttori incapaci o complici che lo millantano come fonte di verità. Se avesse maggiore concorrenza nella competenza potrebbe trarne il giovamento di passare da velinaro a capace tratteggiatore della realtà. Se sapesse prendere atto che le ipotesi d’accusa sono solo carta straccia, ove non accompagnate da sentenze definitive, farebbe il suo ingresso nella civiltà del diritto. E se fosse coraggioso, così come se fosse bravo, scoprirebbe che si possono descrivere scandali enormi pur non facendo ricorso alle categorie penali, che competono ad altri. Rifletta su quel che è capitato a me, dopo il lavoro fatto su Telecom, e lo paragoni con quel che capita a lui, facendo il copista di procura. Magari, in un sussulto di dignità, gli si raddrizza la schiena.
Il guaio della letteratura che ha coltivato è d’essere saccente e falsante. Ma questo non significa non ci siano storie e connessioni che meritano d’essere scandagliate e raccontate. Metto nel conto, naturalmente, le due obiezioni che qualcuno mi muoverà: a. di Travaglio è meglio non parlare, gli si fa solo pubblicità; b. se c’è un modo per farlo tacere, tanto di guadagnato. La penso diversamente, perché la nostra scuola del diritto, il nostro garantismo nella libertà, non tollera nessuna eccezione. Mai.