Inefficacia del processo penale, che si svolge in tempi talmente lunghi da renderlo comunque ingiusto, cui si aggiunge una totale incertezza circa l’applicazione della pena. Il Procuratore Generale, Francesco Favara, inaugurando l’anno giudiziario, non ha potuto che prendere atto della tristissima realtà: in termini di efficienza e rispondenza ai propri doveri, la giustizia italiana si colloca ultima rispetto a tutti gli altri paesi europei.
La catastrofe risulta ancor più chiara se si tiene conto del fatto che, tanto per fare un esempio, nel caso di reati diffusi e socialmente pericolosi e fastidiosi, come il furto, in più del 90% dei casi i procedimenti non vengono neanche avviati perché rimangono a carico di ignoti.
In queste settimane, in questi mesi, non si è fatto che parlare, in tema di giustizia, di un singolo procedimento in corso a Milano, sintomo e frutto di una patologia lungamente coltivata e mai curata. Ma quella patologia è sostanzialmente irrilevante nel quadro disastroso disegnato da Favara, nel collasso pressoché totale della giustizia penale.
Nulla di sorprendente, lo sapevamo già e molte volte lo abbiamo scritto. Ma il fatto che la questione sia stata posta innanzi alle più alte cariche dello Stato impone una politica conseguente. Impone di rimettere mano tanto al codice penale quanto a quello di procedura, ed impone di fare in fretta, abbandonando tutte le remore ed i timori che hanno fin qui frenato l’approdo ad un vero e proprio rito accusatorio. Non farlo significa garantire il protrarsi di una doppia situazione intollerabile: da una parte, le garanzie per il cittadino non lo tutelano affatto dagli arbitrii della magistratura inquirente e da misure cautelari che troppo spesso colpiscono innocenti, con il risultato di far pagare loro un prezzo sociale altissimo e del tutto ingiustificato; dall’altro la lentezza ed inefficienza del sistema trasforma la civilissima istituzione della prescrizione in una meta d’impunità per i colpevoli.
I corporativismi e la politicizzazione della giustizia, oltre ad essere fenomeni incivili, mostrano oggi quanto alto sia il prezzo che a loro paga la collettività. Si dica basta e si passi a radicali riforme.
Un’ultima cosa. Quando la giustizia penale era divenuta sinonimo di procedimenti aventi ad oggetto la corruzione del mondo politico, sostenevo risolutamente l’avversità ad ogni ipotesi di amnistia. L’amnistia, in quel caso, avrebbe mascherato una ricostruzione fraudolenta e corrotta della nostra storia nazionale, ed avrebbe impedito di mostrare quante di quelle accuse non avrebbero retto al vaglio della magistratura giudicante. Quel tempo è passato, e, come sostenevamo, la gran parte di quelle accuse si sono dimostrate campate per aria. Pagina pessima, per la giustizia non meno che per la politica di quanti hanno voluto profittarne. Ma ora quella pagina se non si è chiusa è comunque stata seppellita dal tempo, passa ad essere un tema per gli storici. L’amnistia torna ad essere uno strumento utilizzabile.