Giustizia

La dea degli inferi

La dea degli inferi

Il Partito Unico dei Magistrati tenta il salto di qualità e, confondendo democrazia con diversità, cerca di divenire il Partito Pluralista dei Magistrati. Si dà anche un organo di stampa, edito sotto la sigla dell’Eurispes, e lo chiama Dike. Lo presenta a Roma e, nel presentarlo, mette in luce tutti i limiti culturali dell’averlo concepito. Uno spettacolo interessante.

Riassumiamo: nasce Dike (che non è un gran nome, perché in epoca anglofona può significare una serie di indicibili cose, mentre con riferimento alla mitologia greca trattasi sì di dea della giustizia, e non di meno dea degli inferi, che, data la situazione, non è un bel riferimento), insomma, nasce Dike con l’idea di creare uno spazio neutro entro il quale condurre una riflessione pacata sui temi della giustizia.

Nel primo editoriale affermano di volere contrastare “la tendenza a militarizzare le appartenenze”, che non solo è un linguaggio decisamente ruvido ed evocativo, ma rimane senza indicazione di chi le stia militarizzando. Forse il riferimento alle Forze Armate è solo un incidente, provocato dai cascami di culture residuali.

Il fatto è che presentando la rivista in questione due magistrati (la direzione ed il comitato scientifico pullulano di magistrati) hanno modo di sostenere da una parte (Priore) che un tale sereno dialogo è quasi impedito dal continuare di una guerra civile, dalla prepotenza con cui i magistrati occupano la scena politica e dal perdurare di un potere, quello della magistratura, sostanzialmente irresponsabile; e dall’altra (Caselli) che i magistrati sono stati vittime della militarizzazione delle coscienze, che è sacrosanto che si reagisca alle improvvide iniziative del Parlamento, e che se si impedisce ai cittadini di ricorrere direttamente a Strasburgo per le ingiustizie subite si fa fare all’Italia un bel passo in avanti. Il che, sia detto con chiarezza, non è la premessa di un dibattito, ma il palesarsi di un sano e trasparente conflitto politico.

Tele conflitto, però, smentisce le basi su cui si reggerebbe la rivista. Difatti i temi della giustizia sono, e non potrebbe essere diversamente, un elemento centrale della battaglia politica e non un argomento sul quale la concordia degli animi produrrebbe un più efficiente procedere. Pensare che a dibattere di giustizia siano chiamati prima di tutto i magistrati, poi, è un clamorosissimo errore. Vero è che Dike si fregia di collaborazioni nel mondo avvocatizio e fra giornalisti in cerca di migliore collocazione, ma il primo numero, nel suo editoriale, evidenzia l’assenza del loro alato pensiero. Faccio un esempio.

Si dice, ed è vero, che viviamo una stagione nella quale sempre più forte è il ruolo dei media, e della tv in particolare, ma lo si dice per sottolineare “quanto pesi negativamente l’idea che un reato non sia punito, che non vi sia certezza della pena o che siano inadeguati gli strumenti per garantire la sicurezza dei cittadini…”. Nell’editoriale anonimo ed unitario, quindi, manco si pone il problema che deriva ai cittadini innocenti dall’essere dati in pasto al sistema mediatico giudiziario, salvo poi essere assolti in sede privata e riservata. Neanche un accenno, neanche di striscio. Il che, per chi voglia essere sereno ed equilibrato, è un brutto segno di eccitato squilibrio.

Altro esempio. Dike vede la luce dopo dieci anni di giustizialismo sfrenato, all’indomani di elezioni che hanno ancora una volta certificato la scomparsa di tutti quanti i movimenti politici democratici (quindi con la significativa eccezione dell’ex MSI e dell’ex PCI) che sedevano in Parlamento dieci anni fa. E Dike parla “della transizione iniziata dieci anni fa con la crisi del vecchio sistema dei partiti”, mutuando un linguaggio maraniniano che serve a coprire l’evidentissimo legame fra iniziative giudiziarie ed abbattimento di quel sistema democratico. Morale: l’Eurispes investa pure i propri quattrini in iniziative editoriali dai così angusti confini culturali, ma non tenti di spacciare come pluralistico e super partes un prodotto che nasce così targato da mettere in imbarazzo financo chi lo firma e presenta.

Condividi questo articolo