Giustizia

La giustizia ingiusta può anche uccidere

La giustizia ingiusta può anche uccidere

Di recente è accaduto quello che avremmo creduto essere uno scherzo, per giunta di cattivo gusto. E’ accaduto che dei magistrati abbiano querelato un avvocato per quel che egli aveva scritto in un necrologio. “Ho visto il tormento e lo sfacelo -ha scritto in ricordo del defunto, suo amico, collega ed assistito- che nascono dall’ingiustizia. Piango la scomparsa dell’ennesima vittima del cieco accanimento giudiziario”.

Di solito i magistrati sono puntigliosi nel sottolineare che l’arresto viene disposto dal gip e non dal pubblico ministero; così come lo sono, e giustamente, nel richiamare l’attenzione sul fatto che l’istruttoria è solo il momento d’accusa, mentre il processo è altra cosa. Questa volta, invece, qualcuno deve essersi sentito il protagonista assoluto dell’ “accanimento giudiziario”. Ed ha querelato.

Anche a noi è successo qualche cosa di simile. Qualcuno sostenne che l’accanimento giudiziario, cui era stato sottoposto per molti anni, non era estraneo alle cause che avevano portato Vincenzo Muccioli alla morte. Allora, i magistrati che si sentirono tirati in ballo chiesero il sequestro delle cartelle cliniche, con gesto di raro tatto e buon gusto. Di lì a poche ore, Muccioli morì.

In quel caso documentammo passo per passo, ingiustizia per ingiustizia, follia giudiziaria per follia giudiziaria, violazione dei codici per violazione dei codici, quello che certa magistratura aveva inscenato contro Vincenzo Muccioli. Pubblicammo il tutto e dicemmo : adesso ci querelino. Non si è visto né sentito nessuno.

Il punto è : si può morire a causa delle ingiustizie subite? La nostra risposta è affermativa : sì, la giustizia ingiusta può uccidere.

Talora ti uccide utilizzando la tua stessa mano. Poi, con supremo cinismo ed assoluta mancanza di pietas, se ne lava le mani dicendo : il suicidio è segno di colpevolezza. Invece no : il suicidio può essere un segno di debolezza innanzi alla macchina mostruosa che ti si para contro; così come può essere un gesto di ribellione. Non è un caso, del resto, che nei messaggi lasciati dai molti suicidi per ingiustizia si ritrova spesso un’invocazione al rispetto della dignità e dell’onorabilità dei propri familiari. La giustizia ingiusta, difatti, in attiva collaborazione con giornalisti servi e sciocchi, non mira solo a condannare te, no, vuole dannare un cognome.

Anche quando non usa la tua mano, usa le tue forze per ucciderti. Esseri umani che, sottoposti ad ingiustizie feroci, apparentemente reggono, apparentemente rimangono lucidi, apparentemente mostrano di volere combattere, ma dentro hanno cominciato a divorarsi, ad autoeliminarsi. Con la stessa forza, con la stessa determinazione che devono mostrare all’esterno. Saranno morti naturali, ma senza nulla di naturale.

Le procedure della giustizia sono lunghissime e violente. Il cittadino comune non crede che siano violente, e si sbaglia. Si sbaglia perché si vuole sbagliare, perché non ha il coraggio di guardare, perché vilmente volta lo sguardo. Almeno fino al giorno in cui non sarà preso di mira. E la lentezza dei procedimenti è già una condanna, subita da migliaia di innocenti.

Come se tutto questo non fosse già insopportabile, vi è, poi, la più indecente delle conseguenze : il sottoposto a procedimento penale viene sbranato da un giornalismo che porta su di sé il marchio infame del non provare vergogna. Cani latranti si avventano sul ferito, per finirlo con congeniale viltà e servilismo al padrone.

Ai funerali di questi esseri umani si seppellisce sempre un pezzo della nostra libertà.

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