Giustizia

La spada di latta

La spada di latta

Quando, nel maggio di quest’anno, il procuratore distrettuale antimafia di Napoli, Agostino Cordova, si recò, per un’audizione, presso la commissione parlamentare antimafia, le sue affermazioni furono accompagnate dal solito strepitio della polemica, incentratasi in modo particolare sulle vicende relative all’arresto di alcuni poliziotti per il comportamento da questi tenuto nel corso di una manifestazione dei no global.

Ad una lettura più attenta e fredda del resoconto stenografico, però, si comprende che questa vicenda non solo è secondaria, ma, a parte il piacere della polemica, i commissari stessi non riescono neanche lontanamente a mettere in difficoltà il dottor Cordova.

Il quale, però, dice altre cose, assai interessanti e rilevanti, assolutamente decisive per chi voglia riflettere con competenza e conoscenza sui temi della giustizia. Non ricordo di averne letto, per questo mi pare utile riprendere le affermazioni del procuratore distrettuale, certo non passate d’attualità.

Il quadro tratteggiato da Cordova è terrificante. Come spesso accade è nei particolari apparentemente secondari che si nasconde il seme della verità: a Napoli i motociclisti non usano il casco, e nessuno li ferma. E un rilievo che abbiamo letto mille volte, a metà fra il costume e l’ammissione d’impotenza. Ma sapete perché accade? Accade, dice Cordova, perché se da una parte gli omicidi sono diminuiti, e sono diminuiti perché si è raggiunta una qualche pace camorrista fra i diversi clan, dall’altra ciascuno teme sempre che altri riapra il fuoco, pertanto girare con il casco rischia di far sembrare il motociclista un potenziale killer, esponendolo a grandi pericoli. Chi gira senza casco non verrà fermato dai vigili, ma chi gira con il casco sarà fermato dai vigili della camorra. “In Campania – afferma Cordova ? il vero Stato è la camorra che ha le sue leggi che fa rispettare con sentenze immediatamente esecutive, inappellabili (?) Il cittadino comune teme le pene immediate della camorra e non quelle aleatorie dello Stato”.

Non basta, parla di ” ? estorsioni generalizzate nel senso che non vi è esercizio commerciale che si sottrae al fenomeno”. Pur ammettendo che il procuratore si sia lasciato prendere la mano da un’iperbole, pur ammettendo che non tutti, proprio tutti gli esercizi commerciali pagano il pizzo alla camorra, è difficile non credere, per l’autorevolezza della fonte, che il commerciante campano è più nelle mani della camorra che dello Stato. E la cosa non si ferma lì: per pagare il pizzo il commerciante prenderà soldi a prestito dalla camorra stessa; l’usura lo strangolerà; in breve cederà agli estorsori la sua attività. Il che significa che l’intera economia commerciale campana passa alla svelta nelle mani della camorra. Questo è quel che si legge, e che è difficile liquidare con frasi fatte del tipo “grido di dolore”, o di allarme. Questa somiglia ad una resa.

Cordova era accompagnato dal dottor Felice Di Persia, procuratore aggiunto della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli, è lui che s’incarica di illustrare i sintomi della resa: “Abbiamo circa 40 richieste di misure cautelari che pendono davanti al GIP. Alcune di tali richieste presentano ritardi inauditi come ?per esempio- la richiesta che pende dal 28 luglio del 2000, quella che pende dal 12 aprile 2000, un’altra dal 6 dicembre 2000, parecchie dall’aprile 2001 all’ottobre 2001”. Il che è pazzesco, perché le misure cautelari vengono chieste non nei confronti di conclamati e riconosciuti criminali, ma, come le nostre leggi dettano, nei confronti di cittadini che devono ancora subire una condanna definitiva, e possono essere chieste per l’imminente pericolo di fuga, di reiterazione del reato (purché sia grave) e di inquinamento delle prove (purché tale possibilità sia concreta ed immediata). Ora, delle due l’una: o le richieste della procura erano infondate, ed allora dovevano essere respinte dal GIP; oppure erano fondate al momento della richiesta e non possono più esserlo dopo mesi o anni. La situazione descritta, pertanto, è di sicura e gravissima illegalità, vuoi ai danni di cittadini che si dimostreranno innocenti, vuoi ai danni di una collettività non tutelata dall’opera dei criminali. Ripeto, pazzesco.

E perché quelle richieste giacciono così a lungo inevase? Perché, si dice, vi sono solo 27 GIP a fronte di 107 sostituti procuratori. E non si sa se ridere o piangere. Già, perché in quel di Milano, negli anni d’oro dei momenti magici, quando si chiudevano le manette e si raccoglieva l’applauso della piazza, il GIP era uno solo, e sbrigava le pratiche dalla sera alla mattina. Un mostro d’efficienza, o uno che non leggeva le carte? Ed i GIP napoletani cosa sono: dei magistrati scrupolosissimi, o degli insabbiatori? Se su questo non indagano, il Ministero della Giustizia ed il Consiglio Superiore della Magistratura, di grazia, ma che ci stanno a fare?

Troppo facile e troppo inutile liquidare le affermazioni di Cordova e Di Persia affermando che è loro dovere porre rimedio, anche perché Cordova chiarisce che, così andando le cose, non solo non si pone rimedio, ma la situazione è destinata, se possibile, ad aggravarsi. L’unica speranza, diciamo così, sarebbe quella di pensare che Cordova e Di Persia si siano inventati tutto, che abbiano drammatizzato ad arte. Ma non ci credo, in realtà le loro affermazioni sono pesanti e documentate, al punto da coinvolgere la stessa Procura della Repubblica.

Cordova, difatti, ricorda una vicenda di arresti per presunti malaffari nella pubblica amministrazione e cita quel che, a quel proposito, scrisse la Cassazione, entrando nel merito: “?le reiterate doglianze del ricorrente (ovvero del pubblico ministero n.d.r.) appaiono indici di una radicata tendenza a trasformare meccanicamente l’illegittimità o l’anomalia amministrativa degli atti e delle procedure in illiceità penali e ad argomentare come se fosse sussistente quell’associazione per delinquere”, pertanto la Cassazione scarcerò tutti e sconfessò la procura. Normale dialettica giudiziaria, si dirà. Normale un accidente: in una zona in cui la camorra funziona meglio dello Stato, secondo quanto affermato da Cordova, la procura perde tempo a perseguire reati inesistenti, inventando inesistenti associazioni per delinquere, al solo scopo di perseguire chi per lo Stato lavora. Difficile giustificare questo con l’usurato ricorso all’esistenza dell’obbligatorietà dell’azione penale, difficile in una procura in cui si lasciano marcire sul pavimento i rapporti di polizia sull’attività della camorra. Rapporti di polizia giudiziaria mai aperti, mai letti, parola del procuratore distrettuale antimafia, parola che non riusciamo a toglierci dalla mente.

La giustizia, dice Cordova, sembra brandire una spada di latta. E financo la latta, diciamo noi, sembra dirigersi dalla parte sbagliata.

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