Giustizia

La spada e la bilancia

La spada e la bilancia

La giustizia è raffigurata talora bendata e talora vigile, ma sempre con la bilancia più in alto della spada. L’equilibrio prima della forza. La garanzia prima della punizione. La nostra giustizia fa precedere la spada alla bilancia, la punizione al giudizio. Non le basta essere cieca, pratica anche l’insensibilità. In poche ore una collana di fatti, che è una catena al collo di tutti.

Stiamo ancora aspettando che il presidente della Repubblica intervenga, come è necessario. Stiamo ancora aspettando una risposta alle domande: come è possibile che la Cassazione pensi di dirimere un conflitto giurisprudenziale con un comunicato stampa, insultando i giudici autori delle sentenze? E come è possibile che in quello neghi l’esistenza di alcune massime, elaborate dalla Cassazione stessa? Nessuno creda che la faccenda si possa chiudere sol perché il silenzio di quasi tutti l’accompagna. Nessuno creda che il tacere, increscioso e imbarazzante, dell’informazione sia capace di silenziare le coscienze. Restiamo in attesa.

Nel frattempo apprendiamo che Gai Mattiolo, stilista, è innocente del reato ascrittogli. La procura aveva chiesto di condannarlo a 4 anni e 4 mesi di galera. Il tribunale ha sentenziato: “il fatto non sussiste”. Non ci fu bancarotta, non ci furono distrazioni, non ci furono falsi. Nessuno degli imputati è colpevole. Sussiste un fatto, però: Mattiolo ha subito quattro mesi di custodia cautelare, ha vissuto sette anni da imputato, ne vivrà ancora altri, perché l’accusa presenterà sicuramente ricorso, ha subito un danno economico enorme e solo ora, dopo sette anni, gli restituiscono i beni allora sequestrati. La procura non avrebbe dovuto indagare e accusare? Certo che deve, se pensa di averne gli elementi, ma ora sappiamo, per certo, che il giudice che dispose gli arresti commise un gravissimo errore. E sappiamo che un processo con prove documentali non può arrivare sette anni dopo (infatti il giudizio vero è stato veloce). E ancora siamo solo al primo terzo. Se qualcuno non paga, per questi errori, tutto il resto perde dignità e credibilità.

Sento già la critica, figlia della più sudicia ipocrisia: vi occupate di queste cose solo quando riguardano gente ricca e potente. Ce ne occupiamo assai spesso, ma degli altri non frega niente a nessuno. E meno che mai a quelli che dicono la castroneria appena riportata.

Prima di apprendere l’assoluzione di Mattiolo abbiamo potuto vedere il filmato dell’arresto di un muratore. Un altro nessuno, divenuto qualcuno per l’accusa che pende su di lui. Colpevole? Innocente? Lo stabilisca il processo. Ma perché vengono diffuse, dopo un anno, le immagini dell’arresto? C’entra qualche cosa che si era alla vigilia dell’udienza preliminare? Perché era la vigilia. Ed è uno schifo. Una pressione che falsa la giustizia. Toccherebbe al Consiglio superiore della magistratura chiedere di sapere chi ha fornito quel filmato e perché ha scelto quella data. Il colpevole va condannato, ma lo spettacolo dell’uomo braccato e spaurito è l’opposto di quel che rende legittimo un verdetto.

Quel filmato ancora scorreva e scorre, nel mentre un padre decide di suicidarsi per la custodia cautelare cui è sottoposto il figlio. Scandagliare l’animo e la mente è impresa temeraria. Esprimere giudizi è privo di senso. Un suicidio di quel tipo è l’eco di uno sconvolgimento che, fortunatamente, non si trova nelle successive parole del figlio (scarcerato dopo il suicidio paterno, ma le ragioni della custodia cautelare c’erano o no?). Se, però, il morituro lascia scritto: “la magistratura miope talora uccide”, la magistratura seria tace. Invece un procuratore ha sostenuto: “oramai dicono tutti così”. E lui chi crede di essere, se gli altri sono “tutti”? Chi gli ha assegnato il diritto di ultima parola? No pago, ha aggiunto: “Il copione è sempre lo stesso: atteggiarsi a vittime della malagiustizia e qualcuno ci crede sempre. Queste cose, purtroppo, succedono quando ci sono tanti soldi in ballo. Quiando arriviamo noi e blocchiamo il denaro proveniente da attività illecite chi non può più fare la vita di prima ci attacca”. Ma quel signore si è ammazzato. E quello che parla fa il procuratore, l’accusatore, non il giudice! La spada prima della bilancia. E gli sembra pure giusto. Se queste condotte non vengono punite poi è normale che ciascuno si scelga la propria, seguendo deontologia o esibizionismo, a seconda dei gusti.

Arturo Diaconale, dopo l’esperienza del tribunale Dreyfus, presenta in Campania una lista “Vittime della Giustizia e del Fisco”. Il fatto è che le “vittime” non sono quelli che incappano nel tritacarne, ma tutti. Una società senza giustizia funzionante è profondamente corrotta. E la politica che se ne occupa con un occhio reverenziale al corporativismo togato e l’altro incanaglito dall’uso della giustizia contro l’avversario, non è solo politica cattiva: è già sepolta.

Pubblicato da Libero

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