Giustizia

Le notizie non “fuggono”

Le notizie non "fuggono"

A Roma i carabinieri hanno reso visita, non proprio di cortesia, all’agenzia di stampa Apcom, da dove era stata diramata la notizia degli arresti disposti dalla procura di Santa Maria Capua Vetere, naturalmente assai prima che fossero eseguiti. A Palermo la procura indaga due giornalisti, de La Repubblica, accusandoli

di avere favorito la mafia con la pubblicazione di articoli dove si riportava il contenuto di materiale sequestrato dalla magistratura. In tutte e due i casi, come in tanti altri, da una parte s’invoca la libertà di stampa e dall’altra s’intende far luce sulla fuga di notizie. Allora, chiudiamo subito questa seconda questione: le notizie non fuggono, sono diffuse dalle procure. La ragione per cui i magistrati non “trovano” mai il responsabile sta nel fatto che è un loro collega. Punto e a capo.
Non mi convinve, però, l’invocazione della libertà. Non mi convince perché la libertà di diffondere informazioni giudiziarie non dovrebbe esistere, o dovrebbe essere fortemente limitata. Pubblicando le carte di un’inchiesta giudiziaria, come a tonnellate se ne sono stampate in Italia, non si “informano” i lettori, ma si agisce da velinari delle procure e si danneggiano in modo irreversibile cittadini che non potranno mai essere risarciti del loro diritto calpestato.
Da anni si è sostituita la giustizia con la pubblicazione dell’accusa. Il giudizio è emesso all’inizio, al punto che, con rara inciviltà, gente come Borrelli e Maddalena hanno potuto sostenere che il processo in aula era da considerarsi un dettaglio. In questo modo capita che il marasma informativo può divenire un effettivo elemento di vantaggio per i colpevoli, mentre è un’ingiusta ed intollerabile gogna per gli innocenti. Ancora oggi delle maestre d’asilo pagano la propria difesa da un’accusa fin qui dimostratasi infondata, non solo impoverendosi, ma dovendo risalire l’ondata di melma che su di loro si è abbattuta a causa dello sfruttamento mediatico del loro caso. Fu diritto di cronaca? Fu libertà dell’informazione? No, fu barbarie.
Inoltre, i giornalisti non facciano le finte mammole. Sanno benissimo che pubblicare delle intercettazioni telefoniche scegliendo i brani e mettendo l’accento su questo o quel passaggio significa usare quelle carte per rappresentare realtà di comodo. No, non complotti, ma semplicemente la preparazione di piatti che siano più appetibili, più commercialmente attraenti, più utili a vendere. Chi, all’opposto, a questo costume s’oppone (e qui lo si è fatto in tutti i casi e sempre, anche quando gli oggetti erano indifendibili) è bollato di “garantismo”. Altro equivoco dell’incultura: senza le garanzie non esiste giustizia, non esiste processo, non esiste giudizio.
Sarebbe bello non dovere sempre e solo proibire, ma anche affidarsi alla deontologia professionale ed al senso del diritto. In difetto, però, non si può lasciare che il malcostume sia considerato la normalità.

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