Nessuno ha mai pensato che possa esistere un’inchiesta giudiziaria nel corso della quale “tutta la verità” possa venire alla luce. Ci si deve accontentare, ed il fatto che alcune zone d’ombra rimangano, in questa o quell’inchiesta, non toglie significato a quant’altro viene accertato. Né si può affermare che un colpevole non può essere punito (ove un tribunale abbia accertato la sua reale colpevolezza) sol perché non vengono scoperti tutti i suoi complici. Anche in questo caso, ci si deve accontentare.
Quello che, invece, è inaccettabile, quello che toglie valore ad ogni seria inchiesta, e ad ogni connesso processo, è il caso in cui certe cose non le si voglia accertare e certi colpevoli non li si voglia scoprire. Una magistratura che agisse in questo modo sarebbe destituita d’ogni onestà ed ogni credibilità. Stupisce, pertanto, che nessuno abbia ancora voluto rispondere, con la dovuta ruvidezza, a quanto sostiene Andrea Pamparana nel suo ultimo libro (“Gli impuniti – Uomini e storie di una giustizia di parte”, Bietti).
Pamparana è un giornalista che il grande pubblico ha imparato a conoscere durante il periodo iniziale e nel corso dei lunghi mesi dell’inchiesta mani pulite. Anche lui, come tanti altri suoi colleghi, stazionava nei corridoi e sui marciapiedi attorno al palazzo di giustizia e pubblicava le veline passate dai magistrati. Al contrario di molti altri, però, Pamparana si è sforzato di guardare oltre la velina. Ha intravisto una realtà da brivido.
Egli non sostiene, difatti, che tutti i partiti, chi più chi meno, attingevano al finanziamento illegale e che la magistratura, colpendo chi gli capitava a tiro, ha inevitabilmente finito con il trascurare molti fatti e molti colpevoli. No, egli sostiene l’esatto contrario: la magistratura ha scientemente evitato di indagare in certe direzioni, ha occultato indizi, evitato di accumulare prove, soppresso piste d’indagine, il tutto per finalità eminentemente politiche. In particolare i magistrati si son guardati bene dall’indagare seriamente sull’enorme flusso di finanziamenti, nazionali ed esteri, che si dirigevano verso il pci prima ed il pds poi.
Certo, Pamparana sostiene che, in certi casi, quelle inchieste furono seguite da magistrati seri, non dimentichi dell’esistenza dei codici e che, pertanto, non avrebbero mai avuto il coraggio di sostenere un’accusa basata sul “non poteva non sapere” (come non solo è capitato ad altri, ma come, addirittura, vergogna, si trova scritto in qualche sentenza). Questo sarà pur capitato (ma, guarda caso, non capitava ad esponenti di altri partiti), ma, come Pamparana afferma, non sempre le cose andarono in questo modo: in altri casi l’occultamento e l’insabbiamento furono attivi.
Non basta. A sentire l’autore vi sarebbero reati di corruzione, concussione e tangentopolia varia che arrivano fino al 1999, l’anno scorso, che si svolgono attorno al mondo delle cooperative rosse ed i cui proventi si dirigono verso il pci-pds-ds. Su quei fatti furono avviate inchieste che promettevano sviluppi clamorosi, ma che, poi, sono finite in un plumbeo dimenticatoio.
Non basta. Quel mondo cooperativistico lo si ritrova, seguendo il filo di certe inchieste, aggrovigliato ad interessi di stampo mafioso e camorristico, ovvero assai vicino al mondo sanguinario della peggiore delinquenza organizzata. Su questi fatti si avviarono delle inchieste nel 1991, tutte archiviate nel 1999. Ma, attenzione, i carabinieri che seguirono quelle piste sono stati tutti dispersi, trasferiti, ridotti di rango se non di grado e “i Ros sono stati smantellati dal ministro dell’Interno Napolitano”. Giorgio Napolitano, esponente comunista dell’ala migliorista, fu prima responsabile degli affari economici e poi di quelli esteri per il pci. Poi divenne ministro dell’Interno, dopo essere stato presidente della Camera.
Finito di leggere il libro non si può non restare perplessi. Da una parte si ammira un giornalista che, finalmente, anziché pubblicare notizie precotte è andato a fare un’inchiesta, ha seguito piste diverse, ha raccolto documenti e messo in ordine i fatti. Onore al merito, esiste ancora il giornalismo.
Dall’altra, però, si deve constatare che delle due l’una: o, nonostante il lodevole sforzo, Pamparana ha preso un mucchio di cantonate; oppure i fatti che lui denuncia sono talmente gravi da far pensare che in Italia si sia veramente (non come quella volta della guardia forestale) tentato il colpo di Stato. A noi non piacciono le parole forti, ma tenderemmo ad escludere che la verità stia nella prima ipotesi. Ciò significa che questo libro non può essere abbandonato al silenzio, né essere sminuito affermando che tutti sapevano dei finanziamenti illeciti ai comunisti. Non è questo, difatti, il punto. Di quei finanziamenti sapevamo tutti, bene, ma siamo sicuri di sapere tutti tutto quel che c’è da sapere sugli ultimi dieci anni di storia italiana? su quella storia che stiamo ancora vivendo e che, quindi, è cronaca vivissima di queste ore?
Pamparana il suo lavoro l’ha messo per iscritto e l’ha pubblicato. Ora tocca agli altri parlare, rispondere. Il silenzio non è accettabile perché non è accettabile che una democrazia viva al buio.