Giustizia

Limpido Di Pietro

Limpido Di Pietro

Il senatore Di Pietro ha ritenuto di dover fare delle rivelazioni, fondate sulle cose dette nel corso di una cena a casa di un suo amico, cui lui non era presente. C’è chi, in quanto a stile, non delude mai. Ma questo è un dettaglio.

Secondo quanto ci dice oggi Di Pietro è fondato il sospetto che una parte dei soldi distribuiti da Raul Gardini siano finiti nelle casse dell’allora pds. Noi non abbiamo elementi per valutare questa tesi, ma ne abbiamo in abbondanza per sostenere che, anche alla luce di quel che oggi Di Pietro dice, l’inchiesta sui finanziamenti illegali provenienti da Enimont fu lacunosa, frammentaria e, forse, addirittura omertosa. Si perseguirono alcuni e si salvano altri. Nel migliore dei casi ciò lo si dovette all’incapacità ed all’impreparazione della procura di Milano e dei Tribunali che giudicarono il caso. Nel migliore dei casi.

Ma non basta. Sappiamo, sempre dalle dichiarazioni di Di Pietro, che l’allora dirigente del pds e futuro presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, dubitava della serenità della procura milanese e temeva che essa decidesse di indagare sui finanziamenti di cui il suo partito avrebbe disposto. Gli rispondeva un cultore del giustizialismo, un accecato dalle manette, un osannatore della custodia cautelare, quel Paolo Flores d’Arcais che con sprezzo del pericolo ha tante volte pubblicato la lineare e scorrevole prosa del Di Pietro, sostenendo che i dubbi dalemiani erano mal fondati e che quei saggi magistrati non costituivano un pericolo per i discendenti del comunismo italiano. Che cena, ragazzi. E che fortuna non essere ammessi a simili deschi.

Da tutto questo minestrone, da questo mescolarsi di chiacchiere alticce e di recriminazioni tardive, da questo continuo e forsennato uso della giustizia a fini politici e di carriera personale, una sola cosa emerge con grande chiarezza: è necessaria una commissione d’inchiesta.

Già, perché la cosa non appaia strana, ma secondo noi il senatore Di Pietro ha le sue ragioni. Non si sa cosa credette allora, quando avrebbe dovuto indagare sul miliardo di lire che entrò con Gardini a Botteghe Oscure, ma che non si sa dove finì; sappiamo quel che crede ora: crede che un reato non fu perseguito a dovere. Dato che la cosa non manca di qualche risvolto importante, e dato che abbiamo una scarsissima propensione a fidarci sulla parola di Di Pietro (è già tanto quando riusciamo a capire quel che dice), non vediamo casa altro si possa fare se non dar vita ad una commissione d’inchiesta.

L’Italia è già entrata in una lunga campagna elettorale. Chiunque ne sarà il vincitore sappia che ben difficilmente potrà darsi una vita politica regolare ed una vita istituzionale accettabile, se non si sarà capaci, o non si vorrà, fare luce su una pagina che contiene tante irregolarità e non poche cose inaccettabili.

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