E’ impossibile negare, e, difatti nessuno nega, l’influenza che l’operato della magistratura ha sulla vita politica, che è come dire sulla vita democratica. Ciò deriva, secondo quanto sostengono i pubblici ministeri più in vista, da un dato oggettivo : quando l’indagine si estende a protagonisti della vita politica stessa è inevitabile che ci siano delle conseguenze, e, del resto, non si vede come questo possa essere impedito senza guastare le radici dello Stato di diritto.
Ma altri sostengono che tali influenze non sono affatto oggettive, non sono i frutti dell’obbligatorietà dell’azione penale (che ne diviene la mera copertura), bensì intenzionali. Questi altri hanno parlato dell’esistenza di un “partito dei giudici”.
L’accusa è pesante, giacché evidenziare l’esistenza di un partito dei giudici, cioè individuare nell’azione della magistratura una intenzionalità politica, mirante a modificare gli orientamenti impressi dall’elettorato, o, che è ancora peggio, a schiacciare le minoranze elettorali e gli sconfitti, equivale, né più né meno, a sostenere che questi giudici sono dei fuorilegge. E della peggiore specie.
Contro questa accusa sono state portate diverse tesi, fra le prime e più importanti vi è quella relativa all’articolazione del corpo stesso della magistratura : un corpo vasto, composto da moltissime persone, in cui ciascun organismo è indipendente dagli altri, una struttura, insomma, che sembra rendere impossibile una guida centralizzata ed una univocità di intenti, tratti tipici del partito politico. Questa tesi torna utile anche per altre dibattute questioni. I giudici coprono i magistrati? I giudici delle indagini preliminari sono succubi dei pubblici ministeri? I Tribunali non sono indipendenti dalle procure? Ma come si fa, ci si sente dire, a sostenere queste cose senza cadere nel ridicolo, come si fa ad ignorare l’estrema complessità ed articolazione di una magistratura in cui è impossibile che funzionino simili garanzie di casta.
Ebbene, nel pieno della calura agostana è successo qualcosa che ci aiuta a capire il problema del quale stiamo parlando. E’ successo che una procura della Repubblica abbia ritenuto di dovere effettuare una perquisizione (con relativa, ovvia, consegna dell’avviso di garanzia) presso un alto prelato che opera in quel di Napoli. Non entriamo minimamente nella questione, che qui non ci interessa. Quel che qui ci interessa notare è che la cosa, e non poteva che essere così, ha suscitato molto clamore. Mille voci si sono levate, e mille tesi sono state sostenute, naturalmente indirizzate nei modi più diversi ed opposti. Ma una cosa hanno ripetuto, tutte e mille le voci : quel pubblico ministero doveva evitare una deprecabile spettacolarizzazione di quell’atto istruttorio.
Ecco, la cosa ci ha colpito. Noi concordiamo, come ci vuol poco a capire, anzi, siamo stati fra i primi ad indicare quali guasti e quali ignominie derivano da tanta ricercata e scientemente voluta spettacolarità. Quel che ci ha colpito, quindi, non è la tesi, ma l’unanimità con cui la si è sostenuta.
Unanimità che diviene tanto più sopetta quanto più è difforme dalle cose che si sono dette, o, meglio, che si sono taciute in passato. Ad esempio : un giorno un pubblico ministero operante in quel di Milano mandò gli ufficiali giudiziari alla Camera dei Deputati, affinché sequestrassero i bilanci dei partiti politici. Atto di demenziale spettacolarità, dato che : a) quei bilanci sono pubblici e pubblicati da diversi giornali; b) perché quei documenti bastava chiederli e sarebbero stati immediatamente consegnati. L’istituzione offesa da tanta sfrontatezza, in quel caso, era il Parlamento, ovvero il depositario della sovranità popolare, il sovrano, in democrazia. Eppure non ricordiamo tanta unanimità nello sdegno, nella condanna, od anche solo nel biasimo. Anzi, ricordiamo solo una flebile e sottomessa rimostranza, tutt’altro che unanime.
Questo cosa significa? Significa che il riflesso condizionato (e vile) giustizialista scatta immediatamente a difesa di quei magistrati che vengono considerati (ed in molti casi si sentono e sono) organici ad un disegno politico; mentre quando questo riconoscimento di comune identità non vi è, come è successo a quel procuratore capo che è andato a perquisire il prelato partenopeo, allora ci si consente il lusso di richiamare il rispetto delle regole, l’inammissibilità dello spettacolo ed il valore della presunzione d’innocenza. Basta guardare questo diverso ed opposto comportamento, questa macroscopica applicazione di due pesi e due misure per rendersi conto di come stanno le cose.
Ciò, sia detto di passaggio, crea anche dei casi umani : vi sono pubblici ministeri che operano secondo i canoni estetici e giuridici dei loro più applauditi, famosi e seguiti colleghi, salvo poi ritrovarsi al centro di una unanime esecrazione, facendo fatica a capire il perché. Sono traumi che lasciano il segno. Poveretti.
Ma al di là dei casi umani vi è il dato di sostanza, che ci riporta al nostro ragionare attorno al partito dei giudici. Ciò che è successo ad agosto ci insegna quel che già avevamo compreso : non esiste un partito di tutti i giudici, ed ha quindi ragione chi in tale definizione trova l’errore. Esiste un certo numero, non alto, di magistrati che si sono assegnati e si sono visti riconoscere il compito di segnare il solco entro il quale deve viaggiare la politica della giustizia. Gli altri possono allinearsi o possono tacere. Non altro.
Se quello dei magistrati fosse un partito, non brillerebbe certo per democraticità interna.