E’ possibile dissentire dal dott. Pier Camillo Davigo, ed è possibile farlo in un’epoca in cui tutti, anche coloro che ne vorrebbero far cessare l’azione, si prodigano in riconoscimenti verso i magistrati della Procura di Milano? Non so se ciò sia possibile, approfitto, però, della momentanea circostanza che tale dissenso non si configura come un reato.
Su la Voce di domenica 10 luglio il magistrato milanese svolge alcune considerazioni sull’inesistenza, a suo dire, del segreto istruttorio. Cercherò, in maniera sintetica, di mostrare quanto quelle riflessioni siano foriere di una vera e propria inciviltà del diritto, oltre che gravemente lesive del principio costituzionale che presume innocente chi non sia stato definitivamente condannato.
Dice il dott. Davigo che non sono segreti gli atti d’interrogatorio, e questo per il semplice motivo che quegli atti sono conosciuti non solo dal magistrato, ma anche dagli avvocati e dall’indagato, pertanto chiunque potrebbe diffonderli. E come la mettiamo con gli interrogatori fatti in carcere e che i magistrati hanno regolarmente distribuito alla stampa? Poteva fare altrettanto l’indagato? Le due parti, a giudizio di colui che viene descritto come la mente sottile della Procura, erano sullo stesso piano?
Come se non bastasse, in moltissimi di quegli interrogatori venivano nominate persone che non avevano neanche ricevuto un avviso di garanzia. Forse, a giudizio dei magistrati, i diritti di queste persone non sono da tenere in troppa considerazione.
Dice Davigo che non sono segreti i mandati di cattura, una volta eseguiti. Dopo molti mesi in cui i nomi degli arrestandi venivano trasmetti alla stampa prima che agli interessati, finalmente, a proposito del caso Dell’Utri ed altri, la Procura di Milano ha aperto un’inchiesta sulla fuga di notizie. E’ lecito sapere se ha fatto altrettanto a proposito dei mandati di cattura relativi ad appartenenti alla Guardia di Finanza, anch’essi trasmessi via telegiornale prima dell’esecuzione?
Immagino sorridesse, compiaciuto della sottigliezza, il dott. Davigo, quando ha scritto che poi il colmo del ridicolo lo raggiungono quelli che si lamentano della violazione del segreto istruttorio, ma poi affermano che le notizie circolate sono false. Le due cose, dice il magistrato, sono incompatibili. Manco per sogno, non lo sono affatto ed, anzi, configurano la più odiosa usanza che è divenuta abitudine giudiziaria.
Capita, infatti, che non solo il magistrato distribuisca il testo di un interrogatorio, ma lo faccia scegliendo i pezzi dello stesso che giudica più convenienti. Dato che una bugia è anche una verità taciuta, ecco che la violazione del segreto si unisce alla falsificazione della notizia (tutto questo tacendo sul modo in cui i verbali vengono redatti, questione, questa, che rileva responsabilità dei magistrati che non sono minori di quelle degli avvocati).
Davigo, però, afferma anche che se una persona si sente diffamata, può sempre sporgere denuncia, ha, cioè, gli strumenti per difendersi. E questa non si sa se sia una sua furbata od una commovente ingenuità. A me è capitato di sporgere denuncie che nessuno ha mai preso in considerazione, in barba ad ogni obbligatorietà dell’azione penale. Ed è giusto che sia così. Ma si, è giusto, perché la barbarie del circuito mediatico giudiziario è tale che chi finisce sotto accusa non ha più diritto di parola, non esiste altro che come soggetto d’indagine e di accuse.
Il fatto, poi, che non abbia subito alcun processo, che si dichiari innocente, che abbia già fornito le prove dell’estraneità ai fatti contestati, è secondario, sono quisquiglie da garantisti mollaccioni, quel che conta è fare pulizia.
Ecco, e concludo, questa è la cosa per me (come cittadino) più dolorosa : la diffusa cultura dell’emergenza fa sì che sempre, in Italia, per ottenere un risultato si debba calpestare la legge. Ieri questo lo facevano i politici osannati e deificati, oggi lo fanno i magistrati non meno adorati. Così che chi guarda può imparare a credere in tutto, meno che nello Stato di diritto.