Giustizia

Lo schiaffo

Lo schiaffo

La procura di Palermo convoca Silvio Berlusconi, e la figlia Marina, quali vittime e testimoni di una supposta estorsione, ideata da Marcello Dell’Utri. Posto che nessuno dei due convocati s’è presentato e posto che nessuno di loro aveva interesse a diffondere la notizia, che si trova su tutte le agenzie, radio, tv e giornali, resta che l’ipotesi risulta fantasiosa a chiunque abbia potuto seguire, nel corso degli ultimi quaranta (e più) anni la storia di una collaborazione molto stretta, di un rapporto che i diretti interessati definiscono: amicizia. Possibile che finsero al punto da occultare rapporti tesi, feroci, estorsivi? Possibile che la cosa possa essere interessante per una procura della Repubblica? Ebbene sì, perché questa convocazione ci riporta alla memoria un dettaglio decisivo: come e perché cominciò l’inchiesta che poi ha coinvolto anche la presidenza della Repubblica.

Nell’accavallarsi d’incontenibili loquacità e di caduche ipotesi accusatorie, nell’inseguirsi d’improbabili riscritture della storia d’Italia, credo che moltissimi abbiano perso il filo conduttore e neanche ricordino che i supposti responsabili della trattativa fra lo Stato e la mafia erano, all’inizio di questo film, proprio Dell’Utri e Berlusconi. Nello spezzone odierno il ruolo dei protagonisti se lo sono presi Nicola Mancio e Giorgio Napolitano. Non conosciamo ancora i titoli di coda, ma il manifesto che attirava spettatori strillava i nomi della coppia originaria. E siccome noi c’innamorammo giovincelli della razionalità, inadatti a vivere di verità rivelate e straordinarie boiate, fummo i primi a far osservare che Berlusconi avrà pure fatto un patto con la mafia, grazie a Dell’Utri che, panormense come me, faceva da interprete, ma è difficile che una trattativa finalizzata a concedere la fine del carcere duro possa essere stata da loro conclusa, dato che giunsero al governo nel 1994, mentre quella era stata concessa nel 1993. Andammo oltre, ricostruendo e pubblicando l’intera catena decisionale che aveva portato a cancellare, per centinaia di delinquenti e disonorati, il regime speciale: governava Carlo Azelio Ciampi; presidente della Repubblica era Oscar Luigi Scalfaro; il quale volle rimuovere il capo del Dap (dipartimento amministrazione penitenziaria) e mettere al suo posto Adalberto Capriotti, il cui nome gli era stato fatto, su sua esplicita richiesta, da Cesare Curioni, cappellano carcerario e suo caro amico; Scalfaro incaricò Curioni di trasmettere il nome a Giovanni Conso, allora ministro della giustizia, che, non conoscendolo, lo nominò subito, eseguendo il volere presidenziale; Capriotti suggerì la sospensione del 41 bis, anche per far sì che si fermassero le bombe mafiose; Conso eseguì, ripetutamente. Correva l’anno 1993.

Ciascuno può pensare quel che crede (io che “quella” trattativa neanche ci fu), ma questi sono fatti. Incompatibili con l’idea che a trattare fu Berlusconi, l’anno appresso. A meno che non si voglia credere nella potenza magica della sua fama da bugiardo raggiratore, capace d’intortare la mafia vendendole quel che aveva già ottenuto. Fosse vero, sarebbe miracoloso.

Fu per fregare Berlusconi che si montò questa storia. E fu per manifesta incoerenza con lo scopo che la nostra ricostruzione, dimostratasi esatta, rimase silenziata per lungo tempo. Oggi è sulla bocca di tutti, quale scoperta tardiva. Poi, visto che l’accusa non reggeva, la procura è passata a trovarsi altri accusati, sicché, da quel momento, la trattativa divenne “supposta”. Quanti tacquero quando la trappola doveva colpire l’odiato capo del centro destra, e fra questi Mancino, se la ritrovarono sulla testa. Ebbero paura e chiesero aiuto. Alla fine, trattasi di storia miserabile. E Berlusconi? Rieccolo, convocato quale testimone chiamato a fornire informazioni sui soldi dati a Dell’Utri, possibile pagamento di un ricatto. Per cosa? E che importanza ha? Tanto, oramai, sono le telefonate di Mancino a Napolitano il piatto forte. Questo è solo un contorno secondario. Noi non abbiamo cambiato opinione: il menù è velenoso.

Una parola per Rita Borsellino, che si sente schiaffeggiata dal conflitto fra il Quirinale e la procura di Palermo: forse lo schiaffo forte, capace di ridestare da un sonno ventennale, si dovrebbe darlo ricordando che Paolo Borsellino fu isolato e combattuto proprio dai colleghi della procura di Palermo. Come prima era capitato a Giovanni Falcone. Forse è in quella procura (di allora) che si deve cercare la ragione di quei morti. Il coraggio e l’onesta di quei due magistrati merita qualche cosa di più che il falso rito ricorrente, celebrato da quanti li avversarono.

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