Giustizia

L’omicidio Marta Russo

L'omicidio Marta Russo

Il garantista è colui il quale crede nelle leggi. Il non garantista crede solo nell’uso della forza. I giustizialisti, di solito, sono coloro i quali si felicitano del fatto che, su altri e da altri, venga esercitata la forza, fuori da ogni regola scritta. Noi siamo garantisti.

Il garantista si augura che le leggi ed i Tribunali siano in grado di riconoscere e condannare i colpevoli, e di riconoscere ed assolvere gli innocenti. Se così non fosse, il garantista è convinto che le leggi vadano cambiate, e forse anche i Tribunali. Vi è ancora un elemento, cui il garantista tiene moltissimo, ed è che a riconoscere colpevoli ed innocenti siano i Tribunali, sulla base delle leggi, e nessun altro. Ciò significa che non deve in nessun caso essere violata la presunzione di innocenza. In tal senso sono garantiste le norme internazionali sui diritti umani, è garantista la nostra Costituzione, e, coerentemente, non possono non essere garantiste le nostre leggi. Il garantismo, dunque, non è e non può essere una logica di parte, ma è il minimo comun denominatore di ogni sistema giuridico civile.

Questi sono i principi che, però, per non rimanere sterili ed astratti, devono ogni giorno mettersi a confronto con le cose che accadono. Chiarito, dunque, che il garantista non è un innocentista (cosa legittima, così come l’essere colpevolista, ma del tutto diversa, che attiene alla valutazione di fatti, non al dissenso sui principi), vi è una vicenda, che occupa da molte settimane le cronache italiane, che non può non creare disagio in ogni coscienza civile. Mi riferisco all’omicidio di una ragazza, presso l’Università di Roma, ed alla successiva inchiesta, che ha portato in carcere due assistenti universitari.

Per prima cosa si rimane interdetti dal fatto che la pubblica accusa non abbia ancora richiesto, per i due detenuti, il rinvio a giudizio. Sono state raccolte montagne di perizie, ci sono le testimonianze e la procura sostiene di non avere dubbi. Bene, che si vada al processo. E ci si vada in fretta, perché nelle patrie galere sono ristrette due persone che si proclamano innocenti, e che hanno l’inviolabile diritto di essere considerate tali, fino a prova (accertata dal Tribunale) del contrario.

Inoltre, se l’accusa continua a perdere tempo nella fase istruttoria, poi, nel tempo che occorrerà per attraversare i tre gradi di giudizio, scadranno i termini per la custodia cautelare. E, quindi, qualora gli accusati verranno riconosciuti colpevoli, assisteremo al solito illogico spettacolo : si sta in galera finché si è innocenti, e si viene scarcerati dopo la sentenza di condanna. E’ sterile che il capo dello Stato se la prenda con questo sintomo della grave malattia che affligge la giustizia, mentre sarebbe encomiabile che rivolga una qualche attenzione alle cause di un simile dissennato operare.

Oggi, dunque, il dovere dell’accusa dovrebbe essere uno ed uno solo : chiedere immediatamente il processo. Ed invece, niente. Solo indagini ed incidenti probatori. Cose che, a loro volta, aprono altri, inquietanti problemi.

Noi tutti siamo stati messi al corrente che le indagini sono state condotte andando a cercare gli scritti novellistici di un accusato, o le lezioni tenute dai due. Su questo occorre essere chiari : qualsiasi cosa si trovi scritta in quelle carte non ha e non deve avere alcun valore accusatorio. Anzi, il solo cercare, in quella direzione, è sintomo di un pericolosissimo fraintendimento.

Le prove di un omicidio si devono cercare nei fatti e nei moventi, non si deve cercarle nella personalità degli accusati. Questo secondo modo di procedere era tipico del Tribunale dell’Inquisizione, dei processi alle streghe. A noi, alla giustizia di un paese civile, non interessa affatto cosa un cittadino scrive nelle novelle, nelle poesie o nelle canzoni. Se si procedesse in questo incivile modo si dovrebbe condannare Breton Ellis alla sedia elettrica; e che ne sarebbe di Dostoèvskij ? E vogliamo ancora consentire a Stephen King di andare in giro ? Non vi sembra pericoloso ?

L’impressione è che, mancando lo straccio di un movente, ci si prova a trovarlo nella testa o nell’animo degli accusati. Ma questo, appunto, è il più incivile dei sistemi. Per non parlare, poi, della ridicolissima tesi secondo la quale il movente potrebbe consistere nel fatto che i due volevano dimostrare che il delitto perfetto richiede, appunto, l’assenza di movente. Tesi che da ridicolissima diventa pericolosissima quando si sostiene che devono restare in carcere proprio perché hanno sparato senza movente e, quindi, senza movente potrebbero ancora uccidere. Queste sono allucinazioni di menti malate.

Gli incidenti probatori, per venire a questi, servono al fine di fissare, con valore di prova, le testimonianze di persone che potrebbero morire prima del processo, o che potrebbero essere indotte a cambiare versione. I testimoni in questione, però, non sono persone che, subito dopo l’omicidio, nel giro, massimo, di qualche giorno, sono andate a dire : ho visto questo e quello. No, sono persone che per lunghe settimane non hanno detto nulla e, in qualche caso, hanno esplicitamente negato di avere visto od avere alcunché da dire. Sono persone, dunque, che hanno già cambiato versione. Vi è un solo modo, allora, per saggiare la loro credibilità e, al tempo stesso, la fondatezza e ragionevolezza delle cose che dicono, ed è quello di portarli a deporre in un processo. Il resto lascia il tempo che trova, e se l’accusa pensa di fare un processo con incidenti probatori, anziché con testimonianze originali, vuol dire che ha smarrito la lettera e lo spirito del processo accusatorio.

Se, oltre tutto, l’impianto accusatorio ha un senso, se, cioè, i colpevoli sono i due detenuti, che hanno agito senza movente, quasi per giuoco, chi mai dovrebbe intimidire i testimoni ? Ma, si dirà, eppure quelle persone ricevono minacce. E grazie, dico io, i loro volti, i loro nomi, le loro storie sono ogni giorno in televisione, ed ogni giorno ci viene comunicato che ricevono minacce, già questo è un meccanismo che crea ulteriori minacce, di mitomani e squilibrati vari. Se, al contrario, le minacce fossero reali e pericolose, allora vorrebbe dire che essi vengono minacciati non affinché cambino versione, smettendo di accusare i due detenuti, ma affinché non la cambino, continuando ad accusare i due. Come dire che il vero od i veri colpevoli sono ancora in circolazione.

Comunque, quei due assistenti, che le leggi ci impongono di considerare innocenti, sono ancora detenuti, la polizia giudiziaria continua a frugare fra le loro carte personali, e quelle carte finiscono direttamente sui giornali. Cos’è questa, se non una gigantesca attività di inquinamento delle prove? E chi ne è protagonista, se non la pubblica accusa?

Il protrarsi di questa situazione, e di questa attività, è un’offesa al paese civile, ed un’offesa ai principi che reggono il nostro sistema sociale. Questo occorre dirlo e gridarlo. Non ce la sentiamo, e non vogliamo scommettere sulla colpevolezza o sull’innocenza di nessuno. Ma sentiamo il dovere di avvertire che, così, si uccide il diritto. E con un movente miserabile.

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