Giustizia

L’utile ed il lecito

L'utile ed il lecito

Ogni volta che il legislatore parla di giustizia, così come nei lavori della commissione bicamerale, e come certamente ancora avverrà, sente il bisogno di riconoscere l’utilità dell’opera svolta dalla magistratura italiana. Si tratta di un bisogno che merita di essere interpretato.

Da una parte, si tratta di un’affermazione ovvia. Sarebbe come se, ogni qual volta si parla del sistema sanitario, si sentisse il bisogno di ringraziare i medici italiani per la diuturna opera a salvaguardia della salute. Dall’altra, però, la riaffermata fiducia e riconoscenza serve a non indispettire la corporazione giudiziaria nel momento in cui se ne denunciano, e si tenta di correggerne abusi, inefficienze e, talora, corruttele. In questo secondo caso, non si tratta solo, quindi, di una ipocrisia, ma di un errore.

Nulla, difatti, nella giustizia umana può essere giusto se non conforme allo scrupoloso rispetto delle regole. Ed una cosa ingiusta non può, in nessun caso, essere utile. Ci si può illudere che possa essere vero il contrario, ma si tratta di una illusione. Che si paga.

In molti, non solo fra i legislatori, ma fra i cittadini tutti, sono pronti a riconoscere che vi sono state e vi sono delle esagerazioni, così come sono in molti a ben comprendere che si è fatto e si fa un uso esagerato ed irrituale della carcerazione preventiva. Ma, gli stessi, pensano : in fondo, tutto questo è servito, è stato utile. Perché mai prendersela con quei magistrati che ne sono stati artefici? La risposta è : perché tutto questo non solo è ingiusto, ma, oltre che inutile, è anche dannoso, dannoso per la giustizia.

Fa un certo effetto pensare che una tesi simile sia, oggi, considerata controcorrente, e che trova consenso solo fra pochissime persone. Fa un certo effetto perché la solitudine nella quale ci troviamo è la confermata umiliazione del migliore pensiero, filosofico, politico e giuridico, italiano. Il quale pure, su liceità ed opportunità si divise, ma con esiti assai diversi da quelli cui oggi assistiamo.

L’8 maggio del 1776, Pietro Verri, economista e funzionario del governo imperiale austriaco, scriveva al fratello Alessandro, letterato, enciclopedista uno degli animatori della rivista Il Caffè . Erano gli anni in cui viveva e scriveva un tal Cesare Beccaria. Pietro informava Alessandro che Maria Teresa, con un decreto del 2 gennaio, aveva abolito l’uso della tortura, e si attendeva un pronunciamento del Senato di Milano. Alessandro gli rispondeva : “Bramo che sia abolita la tortura, alla quale ho preso un orrore anche più forte del comune, per avere letti i costituti criminali di tale atto inumano, che fa pietà e ribrezzo (…). Io però la ritrovo ingiusta, ma non inutile. Ingiusta perché tormenta un uomo il cui delitto è incerto. Inutile però non credo, perché spesso ricava la confessione. Voi avete grave sospetto che il vostro servitore vi abbia rubato. Se volete saperlo da lui colle buone non otterrete niente; se gli mette una pistola al cervello vi confessa il furto e ve lo restituisce. I barbari spagnoli in America scoprirono miniere e tesori colle torture. Ma noi miseri se l’utile fosse lecito!”.

Beccaria contestava questa tesi del Verri, egli sosteneva che la tortura era anche inutile al fine dell’accertamento della verità, dato che non pochi confessavano non per avere commesso il fatto, ma solo per sottrarsi ai tormenti degli aguzzini. Tutti e due, comunque, erano contro la tortura.

Oggi molti sostengono che la carcerazione preventiva (che, accoppiata all’uso aguzzino dei mezzi d’informazione, ben richiama l’antica tortura) induce alla confessione e, quindi, benché non bella, è comunque utile. Noi preferiamo la tesi di Beccaria (che Voltaire ci invidiò, ma che i contemporanei non leggono). Ma se anche fosse preferibile quella del Verri, comunque condurrebbe all’abolizione di questo istituto.

Ma non basta, vi sono altre ragioni che militano a favore dell’inutilità del modo in cui viene, oggi, amministrata la giustizia. Noi non siamo governati da Maria Teresa d’Austria, noi siamo una democrazia. Se, in democrazia, vengono meno le regole, viene meno la democrazia. Allora : la giustizia che si amministra somministrando ingiustizia, somministrando galera agli innocenti, non ha alcuna importanza se produce confessioni dei colpevoli, perché, alla fine, produce violazioni delle regole, cioè ingiustizia.

Qui il problema non è se è peggio un innocente in galera od un colpevole in libertà, qui il problema è che si pretende di mettere il colpevole (ma chi lo ha giudicato tale?) in galera violando le regole del diritto. Il saldo, per la società tutta, è negativo : ci abbiamo rimesso tutti, e viviamo in un sistema sempre peggiore.

E’ questo il meccanismo infernale che porta la macchina della giustizia a straziare la vita dei suoi stessi servitori, con poliziotti e carabinieri in galera, o sotto inchiesta, accusati da assassini che un tempo essi stessi arrestarono. E’ questo il meccanismo per il quale si sta consegnando l’amministrazione della giustizia nelle mani degli stessi che dovrebbero esserne le vittime. E’ questo il meccanismo per cui, presto, verremo informati del fatto che Falcone era uno dei principali collaboratori di Riina, il quale fece ammazzare Dalla Chiesa per fare un piacere ad Andreotti, dato che il Generale era un ricattatore che usava le carte dei brigatisti rossi per fare carriera, non essendo stata sufficiente la sua iscrizione alla loggia P2.

Io non metto in dubbio che certi sistemi siano stati adottati in buona fede, ma è chiaro che ci si deve fermare, che non solo non funzionano, ma creano danni gravissimi. E’ chiaro che così si va al macello. E’ chiaro che così non si combatte la criminalità, ma si trasforma la giustizia in uno strumento di lotta fra criminali.

Qualche anno fa, a dire queste cose, eravamo davvero in pochi. Adesso qualche altro prende coraggio, e molti cominciano a capire, aiutati anche dal fatto che il potere autolegittimato di certa magistratura appare torvo, in certi casi, e fumettistico vernacolare, come nel caso di Di Pietro. Ma ancora i tempi non sono del tutto maturi, ancora, prima di intervenire, si sente il bisogno di coprirsi, come, con grande scuola e metodo, con lunga educazione e militanza, fa Massimo D’Alema (che, appunto, fra le altre ipocrisie, candida il citato vernacolo).

C’è chi sostiene che tutto questo sia frutto del fatto che il potere politico sia ricattabile e ricattato. Le inchieste sono state condotte in modo pilotato, ed il pilota può sempre ricordarsi di essersi dimenticato qualche cosa. Da qui la paura, e la reverenza. Può darsi che sia vero, ma si tratta di una spiegazione che spiega tutto e niente.

Penso che dietro tanti timori vi sia, prima di ogni altra cosa, l’incapacità di comprendere quanto profondi siano i guasti che si stanno creando, quanto grandi i danni. Al fondo vi è una totale sfiducia nel diritto e nella giustizia, pertanto si continua a ragionar di rapporti di forza.

No, non è la politica a dovere fare un “passo in avanti”, né a doversi “riappropriare” del suo ruolo. A noi cittadini basterebbe che fosse il diritto a fare un passo in avanti, che fosse il rispetto della legge a fare un passo in avanti. Fuori da questo non vi è giustizia, ma solo un sistema in cui il più forte cela i propri crimini, ed il più debole paga per quelli che non ha commesso.

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