Giustizia

Mafia e gattini ciechi

Mafia e gattini ciechi

Il piatto del giorno sembra debbano essere i contrasti, interni alla maggioranza, circa le inchieste di mafia. Angiolino Alfano, ministro della giustizia, dice che se ci sono fatti nuovi è giusto indagare. Renato Schifani, presidente del Senato, storce la bocca: attenzione ai magistrati politicizzati, che usano le

inchieste per far valere teoremi indimostrabili. Gianfranco Fini, presidente della Camera, plaude ad Alfano, perché sia chiaro che la maggioranza non ha nulla da temere. Questa sarebbe la polemica. A me paiono gattini ciechi. Ciascuno parla di quel che gli fa comodo e finge d’ignorare il resto. Studino, rileggano per intero il caso di Carmelo Canale, il carabiniere che Paolo Borsellino chiamava “fratello”, stritolato dall’accusa d’essere mafioso. Rileggano, anzi, leggano, perché forse è una storia che non hanno mai conosciuto, e riflettano.
Quel che dice Alfano non è solo giusto, è ovvio. E non è solo ovvio, è scritto nella legge: se ci sono fatti nuovi, si rifanno le indagini ed anche i processi. Ma voi mi dovete spiegare come fanno i fatti nuovi, che, per la precisione, sono opposti a quelli che si ritenevano veri, a portare sempre allo stesso teorema. Insomma, Dell’Utri e Berlusconi erano in odore d’essere i mandanti delle stragi mafiose quando valeva la verità di Vincenzo Scarantino, sulle cui dichiarazioni non solo si costruì l’indagine sulla bomba di via D’Amelio, dove morirono Borsellino e la sua scorta, ma si ritagliò una verità processuale, una sentenza che arrivò fino alla cassazione, divenendo definitiva. Indagini e sentenze stabilirono la credibilità assoluta di uno Scarantino che non solo era mafioso, ma partecipava alle riunioni della cupola. Salvo il fatto che il citato galantuomo era drogato ed amante di un travestito conosciuto come “la sdillabbrata”. Che, insomma, non è la condotta di vita prediletta dalla mafia, anche perché uno in quelle condizioni può ricattarlo chiunque. Poi arriva Gaspare Spatuzza, altro mafioso, altro collaborante, che smentisce tutto, ma proprio tutto quello che ha raccontato Scarantino, e porta le prove. Per cui sia l’indagine che le sentenze sono da buttare. Benissimo, dicono certi procuratori, questo conferma che i mandanti possono essere Dell’Utri e Berlusconi. Come si può comodamente legge su La Repubblica. Ma, a parte ogni altra considerazione, come fanno due versioni opposte a portare sempre dalla stessa parte? C’è un solo modo: che quella sia la tesi, il teorema prediletto, qualsiasi cosa racconti la realtà.
Stanti così le cose, però, si possono riaprire tutte le indagini che si vogliono, perché tanto l’accertamento della verità resterà una chimera. Quindi, gli illustri Alfano, Fini e Schifano non s’esercitino nell’arte di prendere le distanze o agguantare le vicinanze da quelli che pensano possano essere gli interessi di Berlusconi, ma dedichino il loro tempo a fare l’unica cosa che serve: riformare radicalmente e brutalmente la giustizia. La peggiore giustizia del mondo civile. E serve a tutti, non solo ad alcuni.
Per capire meglio, usino la vita di Canale, che tanto è abituato, a far da cavia. Carabiniere, braccio destro di Borsellino, cognato del carabiniere Antonino Lombardo, quello che si sparò dopo le accuse rivoltegli da Leoluca Orlando Cascio, in diretta televisiva e senza uno straccio di contraddittorio. Allora Canale si ribellò, disse che il congiunto era stato ammazzato, che si doveva vederlo chi collaborava e chi combatteva la mafia. Gli si aprirono le porte dell’inferno: accusato, a sua volta, di mafia, con numerosi pentiti pronti a testimoniare. Carriera bloccata, vita spezzata.
Canale passa anni ed anni da imputato. E’ assolto in primo grado. Assolto in secondo grado. Assolto in cassazione. La sentenza finale, copiando quella di secondo grado, spiega che non c’era un fico secco, non dico per condannare, ma neanche per indagare. L’11 agosto scorso commentai tale sentenza della cassazione, le cui motivazioni erano state depositate con scandaloso ritardo. Il Giornale di Sicilia la commenta giovedì scorso, dieci settembre, scrivendo, in buona sostanza, che secondo i supremi giudici non c’è la certezza che Canale sia colpevole, lasciando intendere che non c’è neanche la certezza che sia innocente. Ma è la legge che afferma necessaria la certezza, quindi i giudici sono obbligati a motivare la sua assenza, salvo che, per farlo, dimostrano che non c’era un bel niente. Insomma, ad un cittadino onesto, in questo caso ad un carabiniere onesto, non basta nemmeno farsi assolvere perché il fatto non sussiste, perché una volta marchiati dalle procure antimafia si resta marchiati a vita.
Leggano, studino, riflettanno in silenzio, i tanti che parlano ed i tantissimi che non legiferano con efficacia e saggezza, e chissà che non capiscono quanto sono irrilevanti certe polemicuzze, innanzi alla regressione incivile della nostra giustizia, del nostro giornalismo e della nostra politica.

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