Giustizia

Manette amare

Manette amare

Buona la riforma della custodia cautelare, del carcere imposto a cittadini che devono essere considerati presunti innocenti. Con qualche nota amara. Il legislatore ha paura ad occuparsi della separazione delle carriere, fra chi accusa e chi giudica, ma ci gira attorno. Però avverte la necessità di affrontare quel nodo.

Con il voto favorevole del Senato è divenuta legge la modifica di alcune parti del codice di procedura penale. La custodia cautelare è ora obbligatoria solo per reati di mafia e terrorismo, mentre negli altri casi dipende dalla valutazione del giudice. Che dovrà attenersi a tre linee guida: a. ogni altra misura cautelare (dai domiciliari al ritiro del passaporto) deve dimostrarsi inidonea; b. i pericoli di fuga, reiterazione o inquinamento devono essere concreti e attuali, non teorici; c. si deve seriamente motivare il perché delle prime due cose. Bene, ma qui c’è la prima ragione per avere un po’ di amaro in bocca: era già così. Le norme (vecchie) che presiedevano alla preventiva privazione della libertà contenevano già quanto ora è più esplicitamente ribadito. E’ positivo che lo si sia chiarito perché prima lo si ignorava. Bastava dire: il Tizio è pericoloso e può reiterare, inquinare o fuggire, e, in barba al testo e al senso della legge, quel cittadino perdeva la libertà.

Il nuovo testo va oltre. Sempre in bene. Il giudice (gip) che dispone la carcerazione preventiva non potrà più limitarsi a ricopiare le considerazioni a lui presentate dalla procura, dal pubblico ministero, ma dovrà dare conto di come e perché è giunto all’autonoma valutazione di dovere disporre quelle misure cautelari. Il tribunale della libertà, cui il detenuto (da nessuno mai condannato) potrà ricorrere, non solo avrà tempi stringenti e vincolanti, per decidere, ma dovrà annullare la misura cautelare se il primo giudice avrà omesso di motivarla in proprio. In altre parole: se il primo giudice fa copia e incolla non è che il tribunale può sforzarsi di trovare poi le motivazioni mancanti allora, ma deve annullare. Bene, ripeto, ma anche qui c’è un retrogusto amaro: a parte che si sono voluti lustri per accorgersi di quello che scriviamo da troppi anni, ovvero che il gip è spesso un passacarte della procura e il tribunale della libertà un certificatore del copiato, resta il fatto che se il legislatore avverte (giustamente) il bisogno di specificare che questa roba non si può fare e va troncata è perché sa bene, come l’esperienza insegna, che quegli organi di garanzia lavorano in sudditanza rispetto alle ipotesi d’accusa. Il giudice, quel giudice, è subordinato all’accusa. Non mancano le eccezioni, ma proprio perché tali ulteriormente significative. Ebbene, cos’è questo se non il modo per riconoscere che esiste eccome il problema della separazione? Salvo scantonarlo.

In quanto ai termini, anche in questo sono anni che lo ripetiamo: siano tutti perentori. Era assurdo che quelli della difesa lo fossero, mentre quelli della procura e del giudice no. Anche questo è un passo in avanti. Per arrivare a meta serve ancora un piccolo sforzo: nessun termine è mai derogabile.

Altra cosa giusta: le misura cautelari non potranno essere rinnovate. Chi sostiene che sia un favore ai criminali ha quel tipo di cultura che lo spinge anche a dire che, adesso, non potranno più arrestarsi gli assassini. Sbagliato: è il giudice che assume su di sé la responsabilità di quella scelta, e non credo che per il killer di Milano se ne trovi uno solo che fatichi a farlo. Una volta arrestato, se le prove sono tali da non avere dubbi, quindi da spingere a trattenerlo ancora, allora lo si processi. Al killer di Milano, per restare all’esempio, la condanna non gliela leva nessuno. A quel punto in galera ci resta, ma da condannato.

L’amaro c’è, dunque, perché si è arrivati tardi e con contorcimenti a quel che il diritto e i diritti reclamano da sempre. Ma la bevanda è potabile, il che segna un notevole salto di qualità, rispetto a quella fin qui servita. E avvelenante. Ora si tratta di vedere come si passa dalle parole ai fatti, posto che, fin qui, delle prime s’è sovente fatto un falò.

Pubblicato da Libero

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