Quante volte siamo stati inseguiti dalle boccucce a culo che sermoneggiavano: le sentenze dei tribunali non si discutono, si rispettano. E noi a rispondere: analfabeti giustizialisti, manco sapete dove sta di casa il diritto: le sentenze si discutono, eccome, ed anche quando sono definitive, applicandole, cioè rispettandole, si può ben continuare a considerarle ingiuste o sbagliate.
Quante volte abbiamo sentito i moralisti senza morale atteggiasi a censori degli altrui costumi dopo aver letto le carte diramate da questo o quel pubblico ministero, destinate a coprire di letame cittadini innocenti. E noi a dire: quelle carte neanche le leggiamo, perché intanto non dovrebbero essere sul giornale e, poi, sono solo una parte, tendenziosa e faziosa, di un processo che deve ancora farsi o concludersi, e nessuno, dicasi nessuno, è mai colpevole di niente (neanche se confessa) fino a quando non c’è una sentenza definitiva.
Quante volte hanno tuonato: i processi (i processi, neanche le sentenze) delegittimano il Tizio od il Caio. E noi a dire: il giudizio politico, quello espresso dagli elettori, è cosa diversa dal processo penale: il primo non impedisce il secondo, ma guai se da questo dipendesse.
Ci hanno descritto come amici e conniventi di tutti: dai corrotti ai mafiosi. Ma eravamo, e siamo, solo gente convinta che a tacere si fa peccato, e che il rispetto del diritto e dei diritti sia una precondizione per l’esistenza della democrazia. Cosa alla quale ci siamo affezionati. Siamo stati seguiti con la sufficienza che si deve ai maniaci, spesso definiti per quel che non siamo, ovvero avversari dei magistrati. Siamo avversari della giustizia che non funziona, quindi anche avversari del corporativismo togato, della malacoscienza di sinistra, dell’incapacità di riformare il sistema.
La premessa per dire che ho letto la cronaca, riportata da il Giornale, quindi non da un foglio ostile, della manifestazione leghista in quel di Milano. Racconta il cronista che Mario Borghezio, capodelegazione della Lega al Parlamento Europeo (oibò), si è intrattenuto sulla figura di Guido Papalia, pm a Verona, sostenitore di un’accusa nei confronti di alcuni militanti leghisti, accusa che ha portato alla loro condanna. Borghezio avrebbe detto: “A Verona sarebbe ora che qualcuno inciampasse per la strada e, una volta a terra, qualche passante coraggioso e patriota gli scaricasse una bella serie di calci in culo, caro Papalia”. La prima cosa che noto è la definizione di coraggio tipica del cacasotto: prendere a calci uno che sta a terra. Poi l’appuntamento: a gennaio tutti a Verona, per manifestare contro Papalia. Alt, queste bestialità non sono consentite.
Non conta ricordare che quando noi scrivevamo contro i pubblici ministeri che arringavano più in conferenza stampa che in tribunale, i signori Borghezio manifestavano a favore dei pm. Conta dire che la giustizia non funziona, che si devono separare le carriere di pm e giudici, che chi sbaglia deve pagare, che non si deve far carriera arrestando innocenti, che i pm non devono potersi scegliere i processi, che le sentenze non devono essere motivate in modo da infamare gli assolti, e tante altre belle cose che trovate in centinaia di nostre prediche al vento. Ma l’attacco personale ad un pm, responsabile di avere sostenuto un’accusa, la convocazione di una manifestazione contro di lui, l’incitazione ad usargli violenza, sono bassezze da condannare con ogni vigore.
Non difendo Papalia (spero lo scortino), difendo la giustizia. Ed anche dove è malagiustizia deve essere difesa da chi la vorrebbe ancor peggiore. La giustizia va riformata, profondissimamente, ma non demolita con le piazzate fascisteggianti. La colpa della politica, incapace del suo dovere, da una parte e dall’altra, è proprio quella di lasciare campo libero al confronto fra estremismi.
La Lega è una forza politica che fa parte della maggioranza e del governo. Fece parte anche della maggioranza di centro sinistra, quando D’Alema la definiva “una costola della sinistra”. E’ naturale che, talora, la piazza trascini la foga oratoria, è naturale che i toni s’inaspriscano, e, del resto, da Borghezio nessuno s’attende fini ragionamenti. Ma non si sottovaluti quello che è successo: il governo, per il tramite del prefetto, si appresti a proibire la programmata manifestazione veronese.